PAOLA PRESCIUTTINI: TROTULA

Nei primi decenni dell’anno Mille la città di Salerno conobbe uno splendore economico e culturale, in  particolare prese forma la moderna medicina. In tale contesto nasce ed opera Trotula: un’infanzia felice fra la tata Iuzzella, conoscitrice di erbe, come molte popolane, e poi un precettore, Gerardo, che deve insegnarle filosofia, matematica e letteratura. Da adolescente quando la cuoca Carminella incinta partorisce sul pavimento della cucina, capisce il potere delle donne (nonostante l’amato precettore le dica che per gli eruditi la donna è solo origine di peccato e tentazione), e dimentica il rammarico per i divieti subiti  dopo l’infanzia essendo una femmina: “Non c’era libro o pensiero capace di eguagliare quel potere che Madre Natura aveva deciso di dare a quelle come me: alle donne”. Dopo la morte della  madre per il parto diventa  “smaniosa di sondare il mistero della salute, del sangue e della morte”: perciò – nel desiderio di capire cosa sia successo – ottiene di frequentare la Scuola di medicina, pur cercando di conoscere anche le guaritrici che usavano l’arte delle erbe e degli unguenti.
La storia di Trotula è anche un romanzo di formazione, una educazione di sé e uno sguardo al mondo. L’autrice la segue nella sua evoluzione, la incalza direi e la accompagna. Trotula, violentata in un momento di ubriachezza dal marito, che l’ama ma soffre per la sua superiorità, si stabilisce – con scandalo inaudito per l’epoca- rinunciando ad ogni privilegio nel quartiere giudaico di Salerno per curare tutti/e, ricchi e poveri, e va in giro con un solo servitore. Finisce per assistere le partorienti, e le rincresce essere considerata “poco più di una mammana” ma salva molte donne da una morte certa. Si trova a curare infezioni, insegna alle levatrici le norme igieniche, si confronta con studiosi arabi e normanni, interrogandosi sull’autopsia, allora proibita, e sulla chirurgia, applicata solo dagli ‘infedeli’ islamici di Avicenna.
Trotula parla dei rimedi per il controllo delle nascite e  riflette sulla sessualità delle donne. Si occupa della cura del corpo, perché la bellezza è il segno di un corpo sano in armonia con l’universo: insegna così alla cugina Adelberga la depilazione, ed in quella casa viene ascoltata e interrogata da molte marchese e contesse su come sbiancare i denti, e come “una donna sverginata” possa sembrare vergine. Il suo punto di vista mette in crisi la tradizione e le sacre scritture (“partorirai con dolore”), soprattutto perché vuole alleviare le sofferenze del parto ed evitare la morte: Dio – ritiene – non può aver creato niente d’imperfetto, sta agli umani capire i segreti del  corpo, augurandosi che un giorno la scienza possa essere del tutto libera dalla religione.
L’incontro di Presciuttini con Trotula (“Fa così la storia: ricopre i gesti di detriti, come il fiume” ) mi ricorda Anna Banti quando racconta di non riuscire a “liberarsi” di Artemisia, della sua “ostinazione a farsi ricordare”, e Christa Wolf che sente Medea chiamarla ad entrare “nel tempo di lei”. La tendenza della riscrittura del romanzo storico da parte di autrici – nel senso di un orizzonte condiviso, attento a figure di donne, al cui interno si esprimono esperienze e toni differenti  – in Italia risale a Bellonci e a Banti e si arricchisce nel tempo di altri nomi con sfumature e rivisitazioni diverse (come Pariani, La signora dei porci; Corti, L’ora di tutti; Rasy, L’ombra della luna; Dacia Maraini, Marianna Ucria; Cutrufelli, La donna che visse per un sogno):  una reinvenzione, se si considera che Orlando è per Anna Banti “romanzo storico per eccellenza”, perché la realtà consiste in un inseguirsi di motivi interiori, legati alla storia di un minuto o di una vita. Paola Presciuttini – che già in Comparse aveva ricreato una genealogia di donne della propria famiglia risalendo ai  primi del ‘900,  “una cordata di mule testarde”, e in un racconto del 2000 aveva narrato una pittrice del ‘500  – con Trotula dilata il tema di una Storia diversa raccontata da chi era stata cancellata. Se per il romanzo storico si è spesso discusso sulla necessità o meno della verisimiglianza linguistica,  l’autrice ha preferito, come racconta in un’intervista, dato che Trotula parlava in latino, studiare piuttosto il ritmo della lingua, la cosmologia del tempo, facendo ricerche sugli abiti e le case.
Come scrive Anna Banti, ogni romanzo “tessuto sui dati contradditori della condizione umana” e sugli “anonimi”, costruisce “il miglior modo di fare Storia”. Il romanzo storico, sostiene, fa un’opera proustiana sulla storia: infatti sgorga dal documento  storico, ma, rivisitato soggettivamente, trasfigura e ricrea la realtà, in una nuova misura di connivenza storico-letteraria.  Nella ricerca attenta di “passi perduti, segni labili che il tempo non ha raccolto” e che “additavano lacune da comare, rammendi da tessere” (Banti), Presciuttini  mette in luce il rapporto tra corpo e parola nel divenire donna nei tempi antichi: è un colloquio intenso con Trotula, e crea genealogia femminile, muovendosi fra il rigore  e l’emozione degli affetti.
Il punto di vista è mobile, perché le voci narranti si alternano, dando un quadro vivace del Medioveo, da Trotula stessa, al marito medico, alla tata analfabeta, al precettore, alla cugina, ed offre un’immersione nel passato che intreccia  – nella tensione narrativa – il senso della quotidianità e della interiorità con le idee dominanti e le vicende storico politiche. Così nell’invenzione poetica viene offerto spazio al tempo delle emozioni, dando corpo a qualcosa che si è come evaporato e perso nella Storia ufficiale.
Più che di una rivisitazione del romanzo storico preferirei parlare di scritture che effettuano un movimento critico verso la Storia ufficiale per introdurre la rugosità degli eventi e il sentire di donne, come cifra dell’alterità. Il romanzo perciò, pur partendo dal documento storico, trasfigura e ricrea la realtà, per cui il materiale d’archivio si fa avventura narrativa e umana, mettendo in risalto l’assenza e cercando di riportare la vita alla sua complessità. Così i fatti storici lievitano in quella zona d’ombra dell’interiorità dove la ‘verità’ si fa più inafferrabile, per raggiungere passioni e dolori altrimenti muti. E la distanza consente una più intensa riflessione anche sull’oggi, per il divenire donna.

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