LA FELICITÀ DELL'ATTESA
(Mondadori - pag. 356 - euro 19,00)
Il «Il primo a partire fu Carmine Leto, il nonno paterno di cui porto il nome.» Comincia così la nuova saga di Carmine Abate che abbraccia quattro generazioni della famiglia Leto, più di un secolo di storie e tre continenti. Come La collina del vento era la storia di una famiglia che rimane e resiste, così La felicità dell’attesa racconta i destini – più che mai attuali – di quanti lasciarono le sponde del Mediterraneo per cercare fortuna altrove, approdando nella “Merica Bona”: una terra dura eppure favolosa, di polvere e grattacieli, sfide e trionfi. È qui, negli States, che un ragazzo partito nel 1903 dal paese arbëresh di Carfizzi, la mitica Hora di Abate, può diventare un campione di bowling noto in tutto il mondo: Andy “The Greek” Varipapa. Proprio lui è il mentore di Jon Leto, l’uomo che parte tre volte: per vendetta, per amore e per lavoro. A Los Angeles, grazie a Andy, Jon incontrerà una giovane donna circonfusa di un fascino magnetico, come il neo ammaliatore sulla sua guancia sinistra: Norma Jeane, non ancora nota con il nome che la renderà un mito... Carmine Abate dà vita a una grandiosa epopea tra l’Italia e il “mondo grande”, che ancora una volta scava nella nostra memoria collettiva e ci racconta di uomini e donne coraggiosi: dal capostipite Carmine Leto, con la sua moglie americana, al figlio Jon e al nipote Carmine, il narratore della storia, che segue le tracce segrete del proprio padre; dal duro lavoro nelle miniere del Meridione alle speranze di riscatto nella “terra promessa” oltreoceano; dalle straordinarie donne del passato a quelle di oggi, come Lina Leto, irrequieta e ribelle, e la figlia Lucy, che ai giorni nostri torna inaspettatamente al paese per riscoprire le proprie radici. Sostenuta da una lingua ricca, fedele all’impasto pieno di sapore che da sempre caratterizza la prosa di Abate, e insieme scandita da un ritmo incalzante, cinematografico, sulle pagine prende forma un’indagine narrativa corale che ha il passo serrato di un giallo – e infatti ruota intorno al mistero di una morte da vendicare – ma che è soprattutto un appassionato apologo sulle partenze e i ritorni, sugli strappi e i sotterranei legami tra le generazioni, sui tempi della vita e sull’amore che può sopravvivere alla morte..
ROMANO DE MARCO: IO LA TROVERO'
Conobbi Romano De Marco in occasione di Lomellina in Giallo 2012, curata da Riccardo Sedini e, devo dire, di strada ne ha fatta parecchia! Lo intervistai in occasione dell’uscita del precedente romanzo “A casa del diavolo”, per Fanucci TimeCrime e l’ho rivisto mercoledì 22 gennaio in Feltrinelli, per l’uscita de “Io la troverò” – la serie Nero a Milano, Feltrinelli FoxCrime – con autori d’eccezione come Sergio Altieri e Andrea Pinketts, capitanati dall’intramontabile Luca Crovi (come farà a leggere così tanto e ricordarsi tutto a braccio?).
Insomma, Romano si è prestato alle fila di domande dei tre “moschettieri”, nonché alcune del pubblico, con molta naturalezza e presenza scenica, per così dire..Volete qualche anticipazione? Ebbene si, ho preso appunti:
Intanto si doveva intitolare “Vivere e morire a Milano”, in omaggio al film americano del 1985 “Vivere e morire a Los Angeles” diretto da William Friedkin e tratto dall’omonimo romanzo scritto dall’agente segreto Gerald Petievich. Poi è stato cambiato in “Io la troverò”, tutta farina del sacco di Romano, che ci tiene giustamente a sottolineare quanto la casa editrice lo abbia lasciato libero di decidere.
L’idea non è nata intorno a una storia, ma intorno a un sentimento: l’amore per i figli. Il racconto descrive alcuni personaggi alla ricerca di amore e di giustizia, che hanno fallito. Ma grazie alla forza dell’amore verso i figli, alla “condanna biologica”, vi è un riscatto delle situazioni. A questo, poi, ha fatto seguito la trama gialla, la quale ha dato credito alla storia.
Si descrive sapientemente il mondo dei barboni milanesi, fatto di miseria e di abbandono, si parla di amicizia, di droga. Si racconta una città come Milano senza filtri, senza edulcorazioni.
Il risultato è un romanzo che, appena uscito, ha già riscosso molti pareri positivi. Ci ritroveremo qui per leggere anche la mia recensione.
Nel frattempo, spero di avervi incuriositi abbastanza e vi lascio leggere la sinossi di Feltrinelli FoxCrime:
Era il miglior poliziotto di Milano. Ora, dieci anni dopo, Marco Tanzi è un clochard, un barbone che vive nei parchi e agli angoli delle strade, mimetizzandosi con il degrado di una città che non ha tempo per prestare attenzione agli sconfitti. Capelli lunghi, barba incolta, vestiti sporchi e scarpe infangate, dell’uomo di un tempo rimane ben poco: un gigante di un metro e novantotto che annega nell’alcol i suoi fallimenti. La sua discesa all’inferno lo ha portato ad abbandonare moglie e figlia, a tradire il suo ex collega ed ex migliore amico Luca Betti e a disonorare il distintivo, macchiandosi di reati che gli sono costati sette anni di carcere. Eppure, una sera, succede qualcosa. La figlia che Tanzi non vede da anni è scomparsa, inghiottita dal buio metropolitano. Betti rintraccia il vecchio collega per dargli la notizia, mettendo da parte gli antichi dissapori, e in quell’attimo nell’azzurro glaciale degli occhi di Tanzi passa un lampo, un barlume di umanità che riaffiora dal passato e sfugge al dominio delle ombre. D’un tratto, ha una missione: trovare la figlia. A ogni costo. Inizia così una caccia mortale che, in un crescendo di tensione e violenza, catapulterà lui e Betti nel giro del porno clandestino e della tratta delle bianche. Un mondo parallelo e sconosciuto ai più, nel quale solo chi ha già visto in faccia i propri incubi peggiori riesce a sopravvivere.
(recensione pubblicata su contorni di noir)
Rimini. Adelmo, un ladro stanco e sfortunato, nota una finestra aperta sulla facciata di una ricca palazzina. La tentazione è irresistibile e conduce l'uomo a trovarsi faccia a faccia con Lise, la stravagante padrona di casa, una croupier tedesca che si gode la pensione al mare. Nessuno dei due corrisponde al ruolo che dovrebbero ricoprire e tra violenza e comicità si sviluppa un rapporto strano, bizzarro ma allo stesso tempo complesso e intenso sul piano dei sentimenti. Adelmo cerca di arginare la precarietà che lo sta allontanando da un'esistenza normale, Lise invece è convinta di non avere più crediti da riscuotere dal mondo intero. Sono infinitamente lontani, nulla li accomuna, eppure entrambi cercano il modo di essere compresi e amati dall'altro. Ma l'amore, anche se si regge su ineluttabili fragilità, può essere in grado di soddisfare desideri, salvare esistenze, rimettere a posto le cose. Il cuore di Rimini pulsa tranquillo in attesa dell'arrivo chiassoso dei turisti. Adelmo è felice quando gira in bicicletta nelle vie della sua città cantando a squarciagola. Lise invece sogna che Rimini si stacchi dalla terra e vada alla deriva per l'eternità.
AURELIO PICCA: UN GIORNO DI GIOIA
LA FELICITÀ DELL'ATTESA
(Mondadori - pag. 356 - euro 19,00)
(Mondadori - pag. 356 - euro 19,00)
Il «Il primo a partire fu Carmine Leto, il nonno paterno di cui porto il nome.» Comincia così la nuova saga di Carmine Abate che abbraccia quattro generazioni della famiglia Leto, più di un secolo di storie e tre continenti. Come La collina del vento era la storia di una famiglia che rimane e resiste, così La felicità dell’attesa racconta i destini – più che mai attuali – di quanti lasciarono le sponde del Mediterraneo per cercare fortuna altrove, approdando nella “Merica Bona”: una terra dura eppure favolosa, di polvere e grattacieli, sfide e trionfi. È qui, negli States, che un ragazzo partito nel 1903 dal paese arbëresh di Carfizzi, la mitica Hora di Abate, può diventare un campione di bowling noto in tutto il mondo: Andy “The Greek” Varipapa. Proprio lui è il mentore di Jon Leto, l’uomo che parte tre volte: per vendetta, per amore e per lavoro. A Los Angeles, grazie a Andy, Jon incontrerà una giovane donna circonfusa di un fascino magnetico, come il neo ammaliatore sulla sua guancia sinistra: Norma Jeane, non ancora nota con il nome che la renderà un mito... Carmine Abate dà vita a una grandiosa epopea tra l’Italia e il “mondo grande”, che ancora una volta scava nella nostra memoria collettiva e ci racconta di uomini e donne coraggiosi: dal capostipite Carmine Leto, con la sua moglie americana, al figlio Jon e al nipote Carmine, il narratore della storia, che segue le tracce segrete del proprio padre; dal duro lavoro nelle miniere del Meridione alle speranze di riscatto nella “terra promessa” oltreoceano; dalle straordinarie donne del passato a quelle di oggi, come Lina Leto, irrequieta e ribelle, e la figlia Lucy, che ai giorni nostri torna inaspettatamente al paese per riscoprire le proprie radici. Sostenuta da una lingua ricca, fedele all’impasto pieno di sapore che da sempre caratterizza la prosa di Abate, e insieme scandita da un ritmo incalzante, cinematografico, sulle pagine prende forma un’indagine narrativa corale che ha il passo serrato di un giallo – e infatti ruota intorno al mistero di una morte da vendicare – ma che è soprattutto un appassionato apologo sulle partenze e i ritorni, sugli strappi e i sotterranei legami tra le generazioni, sui tempi della vita e sull’amore che può sopravvivere alla morte..
ROMANO DE MARCO: IO LA TROVERO'
Conobbi Romano De Marco in occasione di Lomellina in Giallo 2012, curata da Riccardo Sedini e, devo dire, di strada ne ha fatta parecchia! Lo intervistai in occasione dell’uscita del precedente romanzo “A casa del diavolo”, per Fanucci TimeCrime e l’ho rivisto mercoledì 22 gennaio in Feltrinelli, per l’uscita de “Io la troverò” – la serie Nero a Milano, Feltrinelli FoxCrime – con autori d’eccezione come Sergio Altieri e Andrea Pinketts, capitanati dall’intramontabile Luca Crovi (come farà a leggere così tanto e ricordarsi tutto a braccio?).
Insomma, Romano si è prestato alle fila di domande dei tre “moschettieri”, nonché alcune del pubblico, con molta naturalezza e presenza scenica, per così dire..Volete qualche anticipazione? Ebbene si, ho preso appunti:
Intanto si doveva intitolare “Vivere e morire a Milano”, in omaggio al film americano del 1985 “Vivere e morire a Los Angeles” diretto da William Friedkin e tratto dall’omonimo romanzo scritto dall’agente segreto Gerald Petievich. Poi è stato cambiato in “Io la troverò”, tutta farina del sacco di Romano, che ci tiene giustamente a sottolineare quanto la casa editrice lo abbia lasciato libero di decidere.
Intanto si doveva intitolare “Vivere e morire a Milano”, in omaggio al film americano del 1985 “Vivere e morire a Los Angeles” diretto da William Friedkin e tratto dall’omonimo romanzo scritto dall’agente segreto Gerald Petievich. Poi è stato cambiato in “Io la troverò”, tutta farina del sacco di Romano, che ci tiene giustamente a sottolineare quanto la casa editrice lo abbia lasciato libero di decidere.
L’idea non è nata intorno a una storia, ma intorno a un sentimento: l’amore per i figli. Il racconto descrive alcuni personaggi alla ricerca di amore e di giustizia, che hanno fallito. Ma grazie alla forza dell’amore verso i figli, alla “condanna biologica”, vi è un riscatto delle situazioni. A questo, poi, ha fatto seguito la trama gialla, la quale ha dato credito alla storia.
Si descrive sapientemente il mondo dei barboni milanesi, fatto di miseria e di abbandono, si parla di amicizia, di droga. Si racconta una città come Milano senza filtri, senza edulcorazioni.
Il risultato è un romanzo che, appena uscito, ha già riscosso molti pareri positivi. Ci ritroveremo qui per leggere anche la mia recensione.
Il risultato è un romanzo che, appena uscito, ha già riscosso molti pareri positivi. Ci ritroveremo qui per leggere anche la mia recensione.
Nel frattempo, spero di avervi incuriositi abbastanza e vi lascio leggere la sinossi di Feltrinelli FoxCrime:
Era il miglior poliziotto di Milano. Ora, dieci anni dopo, Marco Tanzi è un clochard, un barbone che vive nei parchi e agli angoli delle strade, mimetizzandosi con il degrado di una città che non ha tempo per prestare attenzione agli sconfitti. Capelli lunghi, barba incolta, vestiti sporchi e scarpe infangate, dell’uomo di un tempo rimane ben poco: un gigante di un metro e novantotto che annega nell’alcol i suoi fallimenti. La sua discesa all’inferno lo ha portato ad abbandonare moglie e figlia, a tradire il suo ex collega ed ex migliore amico Luca Betti e a disonorare il distintivo, macchiandosi di reati che gli sono costati sette anni di carcere. Eppure, una sera, succede qualcosa. La figlia che Tanzi non vede da anni è scomparsa, inghiottita dal buio metropolitano. Betti rintraccia il vecchio collega per dargli la notizia, mettendo da parte gli antichi dissapori, e in quell’attimo nell’azzurro glaciale degli occhi di Tanzi passa un lampo, un barlume di umanità che riaffiora dal passato e sfugge al dominio delle ombre. D’un tratto, ha una missione: trovare la figlia. A ogni costo. Inizia così una caccia mortale che, in un crescendo di tensione e violenza, catapulterà lui e Betti nel giro del porno clandestino e della tratta delle bianche. Un mondo parallelo e sconosciuto ai più, nel quale solo chi ha già visto in faccia i propri incubi peggiori riesce a sopravvivere.
(recensione pubblicata su contorni di noir)
Rimini. Adelmo, un ladro stanco e sfortunato, nota una finestra aperta sulla facciata di una ricca palazzina. La tentazione è irresistibile e conduce l'uomo a trovarsi faccia a faccia con Lise, la stravagante padrona di casa, una croupier tedesca che si gode la pensione al mare. Nessuno dei due corrisponde al ruolo che dovrebbero ricoprire e tra violenza e comicità si sviluppa un rapporto strano, bizzarro ma allo stesso tempo complesso e intenso sul piano dei sentimenti. Adelmo cerca di arginare la precarietà che lo sta allontanando da un'esistenza normale, Lise invece è convinta di non avere più crediti da riscuotere dal mondo intero. Sono infinitamente lontani, nulla li accomuna, eppure entrambi cercano il modo di essere compresi e amati dall'altro. Ma l'amore, anche se si regge su ineluttabili fragilità, può essere in grado di soddisfare desideri, salvare esistenze, rimettere a posto le cose. Il cuore di Rimini pulsa tranquillo in attesa dell'arrivo chiassoso dei turisti. Adelmo è felice quando gira in bicicletta nelle vie della sua città cantando a squarciagola. Lise invece sogna che Rimini si stacchi dalla terra e vada alla deriva per l'eternità.
AURELIO PICCA: UN GIORNO DI GIOIA
Una favola realistica, un noir glamour sentimentale è questo ultimo avventuroso, intimo, spettacolare e struggente romanzo di Aurelio Picca, che torna al tema dei rapporti famigliari e in particolare figlio-madre, ma completamente trasformato rispetto a suoi precedenti libri come ‘Sacrocuore’ o ‘Tuttestelle’. C’è il belmondo anni ’50, inizio ’60, tra la Costa azzurra e l’Italia, ci sono le grandi auto, ma c’è anche una tigre, una pistola Beretta 6.35, oro e collane di diamanti, la morfina, una gabbia e un castello, che è in realtà un grande palazzo dalle cento stanze, che la vecchia nonna Normanna Polonsky del giovane Jean, protagonista e io narrante, ha lasciato ai suoi sette figli, tra i quali non scorre buon sangue e che sua madre, Tilda, vuole riscattare a qualsiasi costo dai fratelli, specie il terribile e avido Marcello, per tenerlo tutto per sé. Come chi oggi sfida la sorte rubando in un grande magazzino, così mamma Tilda sfuggiva la noia del suo facile e elegante vivere con gesti rischiosi e eclatanti, che un compagno troppo consenziente gli permette, sperando si calmi e riesca a essere in pace con se stessa. Solo che da quei gesti di destrezza sarà per lei quasi naturale passare ad altri ben più estremi, a truffe e poi rapine a mano armata, per metter insieme i soldi necessari a entrare in possesso del castello di famiglia. Ecco allora un bambino, innamorato della figura seducente della madre, che la segue e ne narra le gesta quasi senza rendersi conto di cosa stia accadendo, almeno sino a quando la madre, che lui pensava solo sua, non si innamora di un altro e poi ancora di un altro, un po’ usando e un po’ usata dagli uomini. Un racconto visionario, venato di una follia un po’ swing, in cui ogni cosa sembra possibile, se c’è una zia, Antonia, che fa la maitresse ed l’unica buona e ricca davvero, se i grandi coinvolgono il bimbo ignaro nei loro giochi erotici, se la mamma si fa di morfina davanti a lui ma brinda ”ai ricchi nell’anima”, se c’è chi in giardino tiene una grande tigre del Bengala. E allora che si corra verso un finale tragico, ma che per Jean è anche un po’ catartico, e alla fine il noir prevalga non stupisce il lettore. ”Mia madre è stata un dono, ma quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta, e questa frusta è predisposta unicamente per l’autoflagellazione”, afferma Jean, facendo di questa madre che rapina e ama, che respinge e attira, che vince e perde, appunto una madre emblematica, nella ambivalenza del rapporto che ha con un figlio. Come emblematico sarà il castello, con i suoi percorsi e incontri (da Teresa al vecchio guardiano De Mei), grazie a cui diventerà adulto, si farà uomo (”e un giorno potrò scrivere la storia che sto scrivendo”) e rinuncerà a girare anche lui con una pistola nella cintura, superata solitudine e rabbie che segnano la sua infanzia, sempre come in bilico tra realtà e fantasia. Ora affascinato, esaltato, geloso e furente, ma comunque ”di marmo, congelato a non capire che la vita è con te, ti grida: Evviva! ed è pronta a distruggerti. Con tua madre dentro”. Questo romanzo, che ha il realismo e la visionarietà di un film, che si snoda leggero e drammatico, inno alla vita che si autodistrugge, pare una favola, con i naturali tocchi di ingenuità dovuti all’età del narratore, e assieme è memoria trasfigurata dal ricordo di tante avventure e seduzioni, segnate tutte da una miriade di colori e profumi particolari, d’epoca, indicati tutti con grande precisione, come quando Jean disegna con gli ombretti rose tendre, pourpoure, bleu azur, beige cachemire, argent metallisé, iris e così via, parlando di fiori come di vestiti e ricordandoci gli odori del vetiver o del profumo Fleur de Rocaille, il Coty dolciastro o Arpege, sino a farne metafora: ”Lui aveva girato il mondo. Lei era un profumo pronto a evaporare dalla boccetta”. Insomma, una lettura leggera e piacevole, non superficiale, che di questi tempi è davvero una bella sorpresa.
NICCOLO AMMANITI: IO NON HO PAURA
In questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.
In questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.
NICCOLO' AMMANITI: COME DIO COMANDA
In una landa ai margini di tutto vivono un padre e un figlio, Rino e Cristiano Zena, uniti da un amore viscerale che si nutre di sopraffazione e violenza. Tirano avanti un'esistenza orgogliosa insieme a un paio di balordi. Un giorno decidono che è arrivato il momento di dare una svolta alle loro vite. Il piano è semplice: scassinare un bancomat. I protagonisti di questa fiaba apocalittica si ritrovano così in una notte di tempesta, affollata di fantasmi e rimorsi, in cui i fiumi straripano e il fango sembra seppellire ogni speranza. Ma dalle tenebre emerge una ragazzina bionda che sprigiona una forza oscura e finisce per cambiare per sempre i loro destini. "Come Dio comanda" è una sinfonia in cui la più cupa tragedia e lo humour più scatenato si fondono, dando vita a un grande affresco sociale.
In una landa ai margini di tutto vivono un padre e un figlio, Rino e Cristiano Zena, uniti da un amore viscerale che si nutre di sopraffazione e violenza. Tirano avanti un'esistenza orgogliosa insieme a un paio di balordi. Un giorno decidono che è arrivato il momento di dare una svolta alle loro vite. Il piano è semplice: scassinare un bancomat. I protagonisti di questa fiaba apocalittica si ritrovano così in una notte di tempesta, affollata di fantasmi e rimorsi, in cui i fiumi straripano e il fango sembra seppellire ogni speranza. Ma dalle tenebre emerge una ragazzina bionda che sprigiona una forza oscura e finisce per cambiare per sempre i loro destini. "Come Dio comanda" è una sinfonia in cui la più cupa tragedia e lo humour più scatenato si fondono, dando vita a un grande affresco sociale.
ALESSIA GAZZOLA: LE OSSA DELLA PRINCIPESSA
Benvenuti nel grande Santuario delle Umiliazioni. Ossia l'istituto di medicina legale dove Alice Allevi fa di tutto per rovinare la propria carriera di specializzanda. Se è vero che gli amori non corrisposti sono i più strazianti, quello di Alice per la medicina legale li batte tutti. Sembrava quasi che la sua tormentata esistenza in Istituto le avesse concesso una tregua, quanto bastava per provare a mettere ordine nella sua sempre più disastrata vita amorosa, ma ovviamente non era così. Ambra Negri Della Valle, la bellissima, brillante, insopportabile e perfetta Ape Regina, è scomparsa. Difficile immaginare una collega più carogna di lei, sempre pronta a mettere Alice in cattiva luce con i superiori, come se non ci pensasse lei stessa a infilarsi nei guai, con tutti i pasticci che riesce a combinare. Per non parlare della storia di Ambra con Claudio Conforti, medico legale affermato e tanto splendido quanto perfido, il sogno proibito di ogni specializzanda... E forse anche di Alice. Ma per quanto detesti Ambra, Alice non arriverebbe mai ad augurarle la morte. Così, quando dalla procura chiamano lei e Claudio chiedendo di andare a identificare un cadavere appena ritrovato in un campo, Alice teme il peggio. Non appena giunta sulla scena del ritrovamento, però, mille domande le si affollano in mente: a chi appartengono quelle povere ossa? E cosa ci fa una coroncina da principessa accanto al corpo?
Benvenuti nel grande Santuario delle Umiliazioni. Ossia l'istituto di medicina legale dove Alice Allevi fa di tutto per rovinare la propria carriera di specializzanda. Se è vero che gli amori non corrisposti sono i più strazianti, quello di Alice per la medicina legale li batte tutti. Sembrava quasi che la sua tormentata esistenza in Istituto le avesse concesso una tregua, quanto bastava per provare a mettere ordine nella sua sempre più disastrata vita amorosa, ma ovviamente non era così. Ambra Negri Della Valle, la bellissima, brillante, insopportabile e perfetta Ape Regina, è scomparsa. Difficile immaginare una collega più carogna di lei, sempre pronta a mettere Alice in cattiva luce con i superiori, come se non ci pensasse lei stessa a infilarsi nei guai, con tutti i pasticci che riesce a combinare. Per non parlare della storia di Ambra con Claudio Conforti, medico legale affermato e tanto splendido quanto perfido, il sogno proibito di ogni specializzanda... E forse anche di Alice. Ma per quanto detesti Ambra, Alice non arriverebbe mai ad augurarle la morte. Così, quando dalla procura chiamano lei e Claudio chiedendo di andare a identificare un cadavere appena ritrovato in un campo, Alice teme il peggio. Non appena giunta sulla scena del ritrovamento, però, mille domande le si affollano in mente: a chi appartengono quelle povere ossa? E cosa ci fa una coroncina da principessa accanto al corpo?
VALERIA PARRELLA: TEMPO DI IMPARARE
Fare il nodo ai lacci delle scarpe, colorare dentro i contorni, lavare bene i denti (anche quelli in fondo), salire scale sempre nuove senza stringere per forza il corrimano. E poi: avere lo sguardo lungo, separare l'ansia dal pericolo vero, vincere, perdere, aspettare, agire, confidarsi, farsi valere, rassegnarsi. A dover imparare tutto ciò, in questo romanzo colmo d'energia e dal potere medicamentoso, sono una donna e il suo bambino. Lei ha l'esperienza, mentre lui per capire mira all'essenziale; lei ha occhi pronti a cogliere ogni spigolo, mentre lui da dietro gli occhiali le insegna a leggere il mondo a due dimensioni.
Davanti a loro si stagliano tutti gli ostacoli possibili, e per fronteggiarli hanno a disposizione molta paura e altrettante armi. La paura è quella di non farcela, e le armi a ben guardare sono le stesse della letteratura: nominare le cose, percorrerle, trasfigurarle, lasciarle andare. Tenendosi per mano - ma chi reggendo chi è difficile dirlo - si muovono tra fisioterapisti e burocrati, insegnanti e compagni di classe, barcollando o danzando, ma sempre stringendo nel pugno una parola difficile che comincia per «H», e che sembra impossibile far germogliare.
Perché se hai tatuato addosso il numero 104 - quello della legge sulla disabilità - e vivi in un mondo «che non ha proprio la forma della promessa», mettere un passo dopo l'altro diventa ogni giorno piú difficile. Ma c'è chi prima di loro e insieme a loro ha solcato lo stesso mare impetuoso, facendosi le stesse domande: «Stiamo tornando indietro o andando avanti? Quando si è in navigazione da tanti anni si perde la rotta».
Tempo di imparare è un libro scritto in prima persona, in cui «io» e «tu» diventano un'unica cosa: «irriducibili l'uno all'altro, eppure intercambiabili». La voce di Valeria Parrella - intima, abissale - dice il momento in cui la relazione tra ogni genitore e ogni figlio si strappa, il binomio si scompone, e ci si guarda da lontano: per intero.
Fare il nodo ai lacci delle scarpe, colorare dentro i contorni, lavare bene i denti (anche quelli in fondo), salire scale sempre nuove senza stringere per forza il corrimano. E poi: avere lo sguardo lungo, separare l'ansia dal pericolo vero, vincere, perdere, aspettare, agire, confidarsi, farsi valere, rassegnarsi. A dover imparare tutto ciò, in questo romanzo colmo d'energia e dal potere medicamentoso, sono una donna e il suo bambino. Lei ha l'esperienza, mentre lui per capire mira all'essenziale; lei ha occhi pronti a cogliere ogni spigolo, mentre lui da dietro gli occhiali le insegna a leggere il mondo a due dimensioni.
Davanti a loro si stagliano tutti gli ostacoli possibili, e per fronteggiarli hanno a disposizione molta paura e altrettante armi. La paura è quella di non farcela, e le armi a ben guardare sono le stesse della letteratura: nominare le cose, percorrerle, trasfigurarle, lasciarle andare. Tenendosi per mano - ma chi reggendo chi è difficile dirlo - si muovono tra fisioterapisti e burocrati, insegnanti e compagni di classe, barcollando o danzando, ma sempre stringendo nel pugno una parola difficile che comincia per «H», e che sembra impossibile far germogliare.
Perché se hai tatuato addosso il numero 104 - quello della legge sulla disabilità - e vivi in un mondo «che non ha proprio la forma della promessa», mettere un passo dopo l'altro diventa ogni giorno piú difficile. Ma c'è chi prima di loro e insieme a loro ha solcato lo stesso mare impetuoso, facendosi le stesse domande: «Stiamo tornando indietro o andando avanti? Quando si è in navigazione da tanti anni si perde la rotta».
Tempo di imparare è un libro scritto in prima persona, in cui «io» e «tu» diventano un'unica cosa: «irriducibili l'uno all'altro, eppure intercambiabili». La voce di Valeria Parrella - intima, abissale - dice il momento in cui la relazione tra ogni genitore e ogni figlio si strappa, il binomio si scompone, e ci si guarda da lontano: per intero.
JAMES LEE BURKE: RABBIA A NEW ORLEANS
New Iberia, sulla costa della Louisiana, non è certo New Orleans, e Dave Robicheaux, ex tenente della squadra omicidi, non è l’eroe che vuole o deve salvare a tutti i costi l’America, “quell’America immutabile di cui non si può fare a meno”. Lo è stato in un passato che torna nei suoi peggiori incubi notturni, popolati da fantasmi che si aggirano per le strade della Big Easy o sui sentieri del Vietnam: due luoghi in cui lui e l’America hanno sbagliato direzione.
Adesso vorrebbe starsene tranquillo con la moglie Bootsie e la figlia adottiva Alafair, mandando avanti insieme al fido Batist il negozio sul pontile dove affitta barche e materiale da pesca ai turisti, offrendo loro un’ottima colazione a base di gamberi… Ma è in questo mondo sospeso tra terra e acqua, boschi e paludi, che lo raggiunge un nuovo spettro del passato.
Un sommergibile nazista giace sui fondali del Golfo del Messico, al largo della costa di New Orleans. Non aspetta più al varco le petroliere che salpano da Baton Rouge, come mezzo secolo prima, ma continua a irradiare il suo alone malefico. E Dave Robicheaux, che ha cominciato a cercare il relitto quasi per gioco, si troverà a fare i conti con uno psicopatico neonazista che inizia a introdursi nella sua vita alternando la violenza fisica a quella psicologica, fino a portare il protagonista sull’orlo della follia.
James Lee Burke esplora in questo psicothriller i lati più oscuri del profondo Sud americano, dove ribollono fondamentalismi religiosi e fratellanze ariane, anime perse e innocenti condannati alla violenza. E lo fa scavando impietosamente nelle contraddizioni del suo antieroe, portando alla luce la fascinazione per il male e l’attrazione per la violenza che cova dentro ognuno di noi.
James Lee Burke è nato a Houston e cresciuto tra il Texas e la Louisiana, paesi di cui nella sua narrativa racconta la storia sanguinaria e la natura impotente. Insegna Letteratura Americana alla Wichita State University, ma ha lavorato anche come operaio in una compagnia petrolifera, come reporter e come impiegato all’ufficio di collocamento della Louisiana. Reso celebre in tutto il mondo dalla serie del detective Dave Robicheaux – interpretato nel cinema da Alec Baldwin (Omicidio a New Orleans, 1996) e da Tommy Lee Jones (In the Electric Mist - L’occhio del ciclone, 2009) –, è stato candidato al Pulitzer ed è tra i pochissimi ad aver vinto due Edgar Award per il miglior romanzo di crime fiction dell’anno.
New Iberia, sulla costa della Louisiana, non è certo New Orleans, e Dave Robicheaux, ex tenente della squadra omicidi, non è l’eroe che vuole o deve salvare a tutti i costi l’America, “quell’America immutabile di cui non si può fare a meno”. Lo è stato in un passato che torna nei suoi peggiori incubi notturni, popolati da fantasmi che si aggirano per le strade della Big Easy o sui sentieri del Vietnam: due luoghi in cui lui e l’America hanno sbagliato direzione.
Adesso vorrebbe starsene tranquillo con la moglie Bootsie e la figlia adottiva Alafair, mandando avanti insieme al fido Batist il negozio sul pontile dove affitta barche e materiale da pesca ai turisti, offrendo loro un’ottima colazione a base di gamberi… Ma è in questo mondo sospeso tra terra e acqua, boschi e paludi, che lo raggiunge un nuovo spettro del passato.
Un sommergibile nazista giace sui fondali del Golfo del Messico, al largo della costa di New Orleans. Non aspetta più al varco le petroliere che salpano da Baton Rouge, come mezzo secolo prima, ma continua a irradiare il suo alone malefico. E Dave Robicheaux, che ha cominciato a cercare il relitto quasi per gioco, si troverà a fare i conti con uno psicopatico neonazista che inizia a introdursi nella sua vita alternando la violenza fisica a quella psicologica, fino a portare il protagonista sull’orlo della follia.
James Lee Burke esplora in questo psicothriller i lati più oscuri del profondo Sud americano, dove ribollono fondamentalismi religiosi e fratellanze ariane, anime perse e innocenti condannati alla violenza. E lo fa scavando impietosamente nelle contraddizioni del suo antieroe, portando alla luce la fascinazione per il male e l’attrazione per la violenza che cova dentro ognuno di noi.
James Lee Burke è nato a Houston e cresciuto tra il Texas e la Louisiana, paesi di cui nella sua narrativa racconta la storia sanguinaria e la natura impotente. Insegna Letteratura Americana alla Wichita State University, ma ha lavorato anche come operaio in una compagnia petrolifera, come reporter e come impiegato all’ufficio di collocamento della Louisiana. Reso celebre in tutto il mondo dalla serie del detective Dave Robicheaux – interpretato nel cinema da Alec Baldwin (Omicidio a New Orleans, 1996) e da Tommy Lee Jones (In the Electric Mist - L’occhio del ciclone, 2009) –, è stato candidato al Pulitzer ed è tra i pochissimi ad aver vinto due Edgar Award per il miglior romanzo di crime fiction dell’anno.
A FEBBRAIO L'USCITA DI L'ULTIMA SCOMMESSA
L'ultima scommessa racconta la vera storia dello scandalo che colpì il calcio a undici a partire da giugno 2011, vedendo coinvolti giocatori, dirigenti e società di serie A, serie B, Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti. Per molti dei personaggi coinvolti l’accusa è stata di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva.
Il libro è un diario fuori e dentro il carcere di Cremona. Protagonista un ex direttore sportivo di un club professionistico, arrestato nell'ambito dell'operazione Last Bet.
Il romanzo è stato costruito per essere letto in 90', come un incontro di calcio. Del resto, l'io narrante vive la sua partita onirica all'interno della storia: emblema e sostanza di un pallone italico marcio da anni.
Grazie ai soldi provenienti da scommessopoli, molti sodalizi, oltre ad arricchirsi, provvedevano a saldare gli stipendi di squadra e maestranze, evitando sanzioni disciplinari. Un sistema quasi perfetto, anche se gestito in stile Bar dello Sport. E, come spesso avviene, nei bar si parla troppo…
Così quelle insegne hanno trovato spazio fuori le mura di un carcere. Il protagonista del libro, dopo gli sputi ricevuti dai tifosi, mentre lo conducevano nella sede sociale del suo ultimo club per continuare la perquisizione, ha scelto di fare a meno del pallone proprio nel giorno del trentacinquesimo anniversario di calcio giocato, dentro e fuori dal rettangolo verde. Una presa di posizione unica: uno dei pochi che non si è tirato indietro, ammettendo colpe e responsabilità proprie, senza buttare fango sulle altre persone coinvolte.
Gianni Paris, dopo i successi di Mare nero e Nessuno pensi male, insiste sulla via del romanzo sociale: anima e cuore pulsante di una narrativa che lo identifica tra gli autori da tenere d’occhio. Grazie a lui, entreremo nello stadio non per sederci su una poltroncina: attraverso il suo sguardo apriremo la porta dello spogliatoio, prima e nell’intervallo di una partita di calcio, convinti sempre più che siamo stufi di vedere palloni bucati.
L'ultima scommessa racconta la vera storia dello scandalo che colpì il calcio a undici a partire da giugno 2011, vedendo coinvolti giocatori, dirigenti e società di serie A, serie B, Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti. Per molti dei personaggi coinvolti l’accusa è stata di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva.
Il libro è un diario fuori e dentro il carcere di Cremona. Protagonista un ex direttore sportivo di un club professionistico, arrestato nell'ambito dell'operazione Last Bet.
Il romanzo è stato costruito per essere letto in 90', come un incontro di calcio. Del resto, l'io narrante vive la sua partita onirica all'interno della storia: emblema e sostanza di un pallone italico marcio da anni.
Grazie ai soldi provenienti da scommessopoli, molti sodalizi, oltre ad arricchirsi, provvedevano a saldare gli stipendi di squadra e maestranze, evitando sanzioni disciplinari. Un sistema quasi perfetto, anche se gestito in stile Bar dello Sport. E, come spesso avviene, nei bar si parla troppo…
Così quelle insegne hanno trovato spazio fuori le mura di un carcere. Il protagonista del libro, dopo gli sputi ricevuti dai tifosi, mentre lo conducevano nella sede sociale del suo ultimo club per continuare la perquisizione, ha scelto di fare a meno del pallone proprio nel giorno del trentacinquesimo anniversario di calcio giocato, dentro e fuori dal rettangolo verde. Una presa di posizione unica: uno dei pochi che non si è tirato indietro, ammettendo colpe e responsabilità proprie, senza buttare fango sulle altre persone coinvolte.
Gianni Paris, dopo i successi di Mare nero e Nessuno pensi male, insiste sulla via del romanzo sociale: anima e cuore pulsante di una narrativa che lo identifica tra gli autori da tenere d’occhio. Grazie a lui, entreremo nello stadio non per sederci su una poltroncina: attraverso il suo sguardo apriremo la porta dello spogliatoio, prima e nell’intervallo di una partita di calcio, convinti sempre più che siamo stufi di vedere palloni bucati.
La ricerca di una vita migliore persa nel Mediterraneo:“Mare Nero”, un romanzo di immigrazione
di Stefano Santos
TITOLO: MARE NERO. UN ROMANZO DI IMMIGRAZIONE
AUTORE: GIANNI PARIS EDIZIONE: EDIZIONI DELL’ARCO
Uno dei maggiori motivi che contribuiscono a far nascere un qualsiasi sentimento di rifiuto, di diffidenza, di opposizione –non necessariamente per motivi etnici – è il non sapere. O l’ignoranza, per spiegare meglio il concetto. Si ha timore, si diffida del diverso “perché non si sa”. Cosa non si sa? Di certo, non l’intera Divina Commedia a memoria, o la Costituzione repubblicana. L’ignoranza di cui si sta parlando, infatti, non riguarda un qualche campo dello scibile umano, non ha a che fare con la cultura; anche un professore emerito dell’Università può essere ignorante. Quale concetto di ignoranza si vuole presentare? Quello che emerge analizzando il termine letteralmente: ignorante è colui che ignora.
Gran parte dei conflitti nascono quindi perché si ignora il contesto generale e si tende a analizzare tutto dal proprio punto di vista, secondo il proprio interesse particolare, senza così riuscire ad allargare l’angolo di visuale del mondo. Ma, prendendo spunto dal pensiero marxiano, la storia è il risultato dell’azione delle condizioni sociali sull’uomo e dell’azione dell’uomo sulle condizioni sociali. Sono quindi le condizioni socio-economiche degli individui a generare un determinato contesto storico. Allora, perché l’”extracomunitario” emigra? Per caso per rubare il lavoro all’italiano e comandare in casa d’altri? Niente di tutto questo, ma per garantire ai propri figli e genitori una vita più dignitosa. E, nel caso di Nacer, protagonista di “Mare Nero”, il libro oggetto di questa recensione, per avere una speranza di spedire soldi dalla “terra promessa” in modo da mantenere la sorella Aicha, confinata nel letto a causa di una grave malattia. Speranza che l’ha spinto a affidarsi nelle mani di delinquenti che lo mandano allo sbaraglio, approssimativamente diretto verso l’Italia a bordo di una “carretta del mare”. Ma non è solo. Insieme a lui ci sono altri disperati, uomini, donne e bambini che hanno scelto di compiere questa “Viaggio della Speranza”. Una storia personale che viene così a moltiplicarsi in altre centinaia, migliaia, milioni di esperienze. Alcuni si stabiliranno in Italia; altri vi faranno tappa, per arrivare in altri nazioni; altri andranno a vivere da parenti; altri, padri di famiglia, cercheranno di mettere radici in modo che la famiglia possa raggiungerlo più tardi; molti hanno timore del razzismo che troveranno, dell’equazione invariabile islamico=terrorista; pochi audaci tenteranno la fortuna e chiederanno asilo politico. Tutti vorranno una vita più dignitosa per sé e i loro cari. Si può dire allora che “Mare Nero” non abbia come unico protagonista Nacer, bensì quei milioni di africani, delle più varie etnie –maghrebini, nordafricani, nigeriani, somali, eritrei, etiopi, sudanesi – ma tutti aventi radici culturali comuni, l’arabo e la religione musulmana (o cristianesimo, per alcuni), adesso non più simbolo di estremismo, piuttosto come “porto comune” dal quale sentirsi più rassicurati, sentirsi parte di una comunità. Comunità che è simbolo di humanitas, che mitiga quella deriva verso la bestialità particolare (che ha paralleli in “Se questo è un uomo” di Primo Levi) che suscitano la fame e gli stenti. Poiché questo viaggio della Speranza non è una scampagnata nei boschi, è una scommessa mortale, una roulette russa di cui tutti sono consapevoli. La prosa di Gianni Paris è chiara e scorrevole, tentando alla fine un’efficace deriva poetica, e riesce a offire un quadro vivido, senza che si scada nel pietismo e nel melenso sentimentalismo, di quei moventi, di quelle ambizioni e di quelle difficoltà che i migranti incontrano in cerca di una vita migliore. DOMENICO SEMINERIO PARLA DI NESSUNO PENSI MALE
|
RECENSIONE SULLA RIVISTA SHERLOCK MAGAZINE
Nessuno pensi male
di Pino Cottogni
Cosa accade a un napoletano
che per sfuggire alla morte decretata dal suo boss, si rifugia presso un boss
della malavita cinese.
Gianni
Paris, avvocato, direttore artistico e scrittore con il
romanzo Nessuno pensi male (2010) ci permette di dare
uno sguardo a quel mondo chiuso e segreto delle comunità cinesi che si sono
installate nel nostro paese.
Non si tratta di un romanzo
“contro” lo straniero, semplicemente apre una finestra sul modo di agire di
questo popolo quando vive al di fuori del suo paese.
Il protagonista è Graziano,
un napoletano un poco sfigato e con pochissima voglia di lavorare che dopo aver
lavorato per un boss della malavita locale come addetto al trasporto di bare per
una ditta di pompe funebri di proprietà del boss, per ordine di questi “deve”
fare dei lavoretti per altre sue losche attività, infatti altri affiliati si
recano presso commercianti e li malmenano perchè non vogliono pagare tangenti e
Graziano deve fare il palo. Quando poi gli viene chiesto altri lavori lui si
rifiuta, perde il lavoro e si lascia andare vivendo di piccoli espedienti,
prestiti richiesti a finanziarie e mai restituiti ecc. ecc.
Così, una notte un suo amico,
Vicenzo gli dice che ha ricevuto l’ordine dal boss di ucciderlo, ma essendo di
buon cuore lo carica sulla sua macchina e lo porta, chiuso nel bagagliaio, in un
paese lontano affidandolo a un boss cinese che deve un favore. Qui Graziano
rimarrà nascosto e racconta la sua vita al padre cinese del
boss.
Più tardi scoprirà che
l’amico di buon cuore lo ha “venduto” al boss cinese, resta da scoprire quale è
lo scopo di questo strano acquisto.
Gianni
Paris, avvocato, direttore artistico e scrittore con il
romanzo Nessuno pensi male (2010) ci permette di dare
uno sguardo a quel mondo chiuso e segreto delle comunità cinesi che si sono
installate nel nostro paese.
Non si tratta di un romanzo
“contro” lo straniero, semplicemente apre una finestra sul modo di agire di
questo popolo quando vive al di fuori del suo paese.
Il protagonista è Graziano,
un napoletano un poco sfigato e con pochissima voglia di lavorare che dopo aver
lavorato per un boss della malavita locale come addetto al trasporto di bare per
una ditta di pompe funebri di proprietà del boss, per ordine di questi “deve”
fare dei lavoretti per altre sue losche attività, infatti altri affiliati si
recano presso commercianti e li malmenano perchè non vogliono pagare tangenti e
Graziano deve fare il palo. Quando poi gli viene chiesto altri lavori lui si
rifiuta, perde il lavoro e si lascia andare vivendo di piccoli espedienti,
prestiti richiesti a finanziarie e mai restituiti ecc. ecc.
Così, una notte un suo amico,
Vicenzo gli dice che ha ricevuto l’ordine dal boss di ucciderlo, ma essendo di
buon cuore lo carica sulla sua macchina e lo porta, chiuso nel bagagliaio, in un
paese lontano affidandolo a un boss cinese che deve un favore. Qui Graziano
rimarrà nascosto e racconta la sua vita al padre cinese del
boss.
Più tardi scoprirà che
l’amico di buon cuore lo ha “venduto” al boss cinese, resta da scoprire quale è
lo scopo di questo strano acquisto.
IN RICORDO DI UN POZZO ARTESIANO
MI RICORDO
DI ALFREDINO RAMPI
di Gianni Paris
Mi
ricordo che un pomeriggio non andai a giocare a pallone, anche se faceva
caldo.
Mi
ricordo che quel pomeriggio rimasi incollato a guardare la
tivù.
Mi
ricordo che quel pomeriggio non guardai Heidi, Orozowei, Mazinga Zeta, Candy
Candy.
Mi
ricordo che rimasi incollato al televisore, per vedere se lo
estraevano.
Mi
ricordo di un buco in un pozzo artesiano.
Mi
ricordo che lui si chiamava Alfredino, Alfredino
Rampi.
Mi
ricordo che soffrivo per lui.
Mi
ricordo che dicevo a mia madre: «Ora esce, aspetta mamma, non andare a lavorare.
Ora lo tirano fuori».
Mi
ricordo che mia madre tornò dal lavoro e Alfredino non era tornato a giocare col
pallone.
Mi
ricordo di un piccolo uomo di Avezzano che fu chiamato per uno degli ultimi
tentativi.
Mi
ricordo che fu preso in elicottero e portato in quel campo incolto, dove c’era
il buco col pozzo.
Mi
ricordo che il piccolo uomo di Avezzano fu fatto scendere a testa ingiù, legato
dai vigili del fuoco.
Mi
ricordo che il piccolo uomo uscì dal pozzo senza
Alfredino.
Mi
ricordo che andai a dormire deluso e preoccupato, per la prima
volta.
Mi
ricordo che Alfredino non tornò più a giocare.
LA TAZZA DI UN WATER E' PIENA
DI PERICOLI...
SESSANTAMILA COPIE PER MARE NERO
NERO
COME NEGRO
di
Greta Cipriani
Sono le
tre del pomeriggio. Apro un quotidiano nazionale. Titti e Hadengai, due dei
superstiti eritrei sbarcati qualche settimana fa a Lampedusa, ora sono sotto
osservazione presso l'ospedale Cervello di Palermo. Sono sbarcati
assieme ad altri tre sopravvissuti, dopo un viaggio estenuante di ventuno
giorni, in un gommone sepolcrale.
Sbarro
gli occhi. Mi ricordo del libro Mare nero.
Leggo
il racconto dei superstiti. Ho dei flashback continui. Telefono subito a Gianni:
"Sembra sia apparsa una notizia presa apposta dal tuo libro!". Lui non sembra
avere il mio stupore. E' normale. Chissà quante storie ha impresse nella
memoria. Riattacco il ricevitore e penso a Mare nero.
Nero
come "negro".
Volendo
trovare un'area geografica che risponda benissimo alle esigenze di condivisione
culturale del termine appena citato, potrei dire
genericamente Africa.
Nero
dunque, come appartenente ai popoli, alle etnìe di pelle scura. Il romanzo di
Gianni Paris ha come soggetti uomini, donne, bambini di pelle scura, marocchini,
algerini, somali, eritrei, etiopi, "una sparuta minoranza di tunisini ed
egiziani", i quali affrontano un viaggio interminabile verso la loro meta dei
sogni preferita: l'Italia. Sembra che il luogo di salpaggio privilegiato per chi
voglia affrontare la traversata sia la Libia. In questo romanzo Gianni non scava
tanto nelle culture dei popoli presi singolarmente, quanto invece mette in
risalto la comunanza di tutte le culture, riunite di fronte ad un mare che
annulla le differenze. Anche la lingua scelta per comunicare è l'arabo, per
tutti indistintamente. Non avremo pagine di natura squisitamente antropologica,
bensì pagine che prendono spunto da racconti tradizionali, nelle quali ogni
riferimento antropologico è funzionale a ciò che si sta narrando. E' un'opera
del presente, più che del passato e del futuro. Di fronte al mare, al pericolo
di un mare che può travolgere intere vite, la propria storia, i gesti personali
non esistono più. Il presente è il viaggio, giorno dopo giorno, senza più le
spalle di un passato e nemmeno il ventre di un futuro sicuro.
Nero
allora come catastrofe, sofferenza. Il colore nero ha sempre rappresentato in
tutte le culture antiche, il simbolo del buio e della morte. Pensiamo ai romanzi
di Grazia Deledda ad esempio, dove le tinte scure, buie, cupe e tenebrose
segnalano l'approssimarsi di sciagure e catastrofi. Il romanzo di Gianni si
svolge soprattutto di notte. Pochi sono i momenti in cui il sole viene a
rigenerare la pelle, e quando il sole arriva è un sole che annulla le
forze.
Nero
come domani senza futuro, luce spezzata. Il narratore qui non risolve le
incertezze, non ci propone un lieto fine. Non vuole affatto parlare
dell'accoglienza, degli espedienti giornalieri di un popolo che lotta per la
sopravvivenza. Gianni pone l'accento più sulla tragedia, che si consuma tutta in
poche settimane, dispensandosi dal fare riferimenti sull'attuale situazione
politica italiana. Allora il nero è il punto interrogativo di una non
pronunciata accoglienza.
In
questo abisso poi, l'unica evidenza è quella del dolore che non conosce confini,
nel quale tutti possono ritrovarsi. Allora il mare "negro" diventa il mare
"nostrum", il mare di tutti noi lettori, che ci immedesimiamo nei personaggi e
ne condividiamo la sofferenza. Ciò che mi viene in mente quando leggo il romanzo
di Gianni è un'alta dose di umanità. Il viaggio non è solo viaggio di
sopravvivenza fisica, è anche viaggio di sopravvivenza mentale, etica,
spirituale. E' un viaggio in cui ognuno viene messo di fronte alle proprie
debolezze. Tutti possono scoprirsi carnefici oppure vittime della rinuncia. Lo
stesso tono è confidenziale. Il romanzo infatti è in prima persona e tutto ciò
che viene descritto è una testimonianza diretta di ciò che accade, senza
mediazioni. Chi lo legge si sente immediatamente immerso nel fondo della propria
vita e della propria coscienza. Qui il deterioramento dell'anima è conseguenza
del deterioramento corporale. La preghiera diventa allora una forma collettiva
di sopravvivenza e i corpi che muoiono, gettati in mare sembrano vittime
sacrificali, uccise da una cattiva sorte.
Basti
pensare che "nero" significa pure "fecondità". Nell'antico Egitto e nell'Africa
del nord le dee considerate simbolo di fertilità erano coperte di vesti scure.
Il nero dunque era il colore della terra fertile, delle nubi gonfie di pioggia e
richiamava alla mente anche le profondità dell'abisso, associate spesso a
Nettuno, Dio del mare, a cui venivano sacrificati tori neri. C'è un legame
dunque fra sacralità, sacrificio, nascita e morte.
Gianni
Paris sa abilmente suggerire nella mente del lettore tutti questi temi, senza
troppo scavarne le radici. La sua scrittura è feconda di immagini sensoriali e
al tempo stesso essenziale. Lascia intendere attraverso l'evidenza. Il suo modo
di presentare i personaggi, gli eventi, lo discosta da quel tipo di scrittura
associata alla "letteratura della migrazione". Il suo romanzo è a sé, un libro
che riunisce in un'esperienza circoscritta un dolore che non ha nome specifico,
e che si dimentica persino del luogo e dell'anno, per rendersi condivisibile a
tutti.