DIARIO MINIMO: ODIO L'INGLESE - di Gianni Paris

l'occhio destro è meglio del sinistro
Non usare nemmeno una parola d'inglese. Quando ho scritto i miei romanzi, questa frase contro l'invasione britannica nella mia lingua italica, è tornata e tuonata sempre nella memoria. Purtroppo, per uno scrittore italiano (come forse io sono), le pronunce sbagliate della lingua inglese sembrano un punto a suo sfavore: quasi sempre, credo. Come alcuni sanno, organizzo da dodici anni il Sei Giornate. Ebbene, ogni volta che ho ospitato un autore con la puzza sotto la gonna della regina d'Inghilterra (non lo invidio, davvero), sono stato costretto a sputare il mio inglese smozzicato con le solite spuntature maialesche, che tradotte vogliono rappresentare la mia figura di uomo a metà con l'anglosassone. Mi spiego meglio. Io odio l'inglese nel vero senso delle parole che sputo. Non lo sopporto proprio. Mi dà fastidio solo il pensiero di dover utilizzare una parola o una frase ''classica'' per indicare una cosa o per dare un'idea migliore e convenzionale. E siccome non mi piacciono le brutte figure, evito - e non sempre ci riesco - ogni convenienza che l'inglese regala agli italiani, perché proprio non ne posso più di sentire i miei connazionali, stringere al petto e mettersi anche attorno alla testa la bandiera britannica. Posso capire un eccesso di inglese in una partita di rugby, durante il Sei Nazioni, se contro gli inglesi ci sono i galletti francesi, ma non posso capire tutto il resto. Qualche volta sono stato vittima di brutte figure - come avete capito perché altrimenti non starei qui a menarmela - per colpa dei principi britannici. Ho sparato le peggio castronerie, e la gaffe (intesa in quanto tale) al cospetto mi faceva vibrisse, quelle del gatto... Insomma, sono diventato rosso come l'imbarazzo sulle guance di Aidi. Cose inenarrabili e che hanno creato in me due situazioni tipiche: la perdita di considerazione da parte dell'amico acculturato e con il vocabolario nuovo-nuovo d'inglese sotto braccio, e dall'altro canto la simpatia di qualche collega scrittore che vive come me l'imbarazzo di chiamarsi John e non Gianni. Alla prossima, miei avvertiti. Con l'inglese non è finita qui.

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