RECENSIONI

LA FELICITÀ DELL'ATTESA
(Mondadori - pag. 356 - euro 19,00)

Il «Il primo a partire fu Carmine Leto, il nonno paterno di cui porto il nome.» Comincia così la nuova saga di Carmine Abate che abbraccia quattro generazioni della famiglia Leto, più di un secolo di storie e tre continenti. Come La collina del vento era la storia di una famiglia che rimane e resiste, così La felicità dell’attesa racconta i destini – più che mai attuali – di quanti lasciarono le sponde del Mediterraneo per cercare fortuna altrove, approdando nella “Merica Bona”: una terra dura eppure favolosa, di polvere e grattacieli, sfide e trionfi. È qui, negli States, che un ragazzo partito nel 1903 dal paese arbëresh di Carfizzi, la mitica Hora di Abate, può diventare un campione di bowling noto in tutto il mondo: Andy “The Greek” Varipapa. Proprio lui è il mentore di Jon Leto, l’uomo che parte tre volte: per vendetta, per amore e per lavoro. A Los Angeles, grazie a Andy, Jon incontrerà una giovane donna circonfusa di un fascino magnetico, come il neo ammaliatore sulla sua guancia sinistra: Norma Jeane, non ancora nota con il nome che la renderà un mito... Carmine Abate dà vita a una grandiosa epopea tra l’Italia e il “mondo grande”, che ancora una volta scava nella nostra memoria collettiva e ci racconta di uomini e donne coraggiosi: dal capostipite Carmine Leto, con la sua moglie americana, al figlio Jon e al nipote Carmine, il narratore della storia, che segue le tracce segrete del proprio padre; dal duro lavoro nelle miniere del Meridione alle speranze di riscatto nella “terra promessa” oltreoceano; dalle straordinarie donne del passato a quelle di oggi, come Lina Leto, irrequieta e ribelle, e la figlia Lucy, che ai giorni nostri torna inaspettatamente al paese per riscoprire le proprie radici. Sostenuta da una lingua ricca, fedele all’impasto pieno di sapore che da sempre caratterizza la prosa di Abate, e insieme scandita da un ritmo incalzante, cinematografico, sulle pagine prende forma un’indagine narrativa corale che ha il passo serrato di un giallo – e infatti ruota intorno al mistero di una morte da vendicare – ma che è soprattutto un appassionato apologo sulle partenze e i ritorni, sugli strappi e i sotterranei legami tra le generazioni, sui tempi della vita e sull’amore che può sopravvivere alla morte..



ROMANO DE MARCO: IO LA TROVERO'

Conobbi Romano De Marco in occasione di Lomellina in Giallo 2012, curata da Riccardo Sedini e, devo dire, di strada ne ha fatta parecchia! Lo intervistai in occasione dell’uscita del precedente romanzo “A casa del diavolo”, per Fanucci TimeCrime e l’ho rivisto mercoledì 22 gennaio in Feltrinelli, per l’uscita de “Io la troverò” – la serie Nero a Milano, Feltrinelli FoxCrime – con autori d’eccezione come Sergio Altieri e Andrea Pinketts, capitanati dall’intramontabile Luca Crovi (come farà a leggere così tanto e ricordarsi tutto a braccio?).
Insomma, Romano si è prestato alle fila di domande dei tre “moschettieri”, nonché alcune del pubblico, con molta naturalezza e presenza scenica, per così dire..Volete qualche anticipazione? Ebbene si, ho preso appunti:
Intanto si doveva intitolare “Vivere e morire a Milano”, in omaggio al film americano del 1985 “Vivere e morire a Los Angeles” diretto da William Friedkin e tratto dall’omonimo romanzo scritto dall’agente segreto Gerald Petievich. Poi è stato cambiato in “Io la troverò”, tutta farina del sacco di Romano, che ci tiene giustamente a sottolineare quanto la casa editrice lo abbia lasciato libero di decidere.
L’idea non è nata intorno a una storia, ma intorno a un sentimento: l’amore per i figli. Il racconto descrive alcuni personaggi alla ricerca di amore e di giustizia, che hanno fallito. Ma grazie alla forza dell’amore verso i figli, alla “condanna biologica”, vi è un riscatto delle situazioni. A questo, poi, ha fatto seguito la trama gialla, la quale ha dato credito alla storia.
Si descrive sapientemente il mondo dei barboni milanesi, fatto di miseria e di abbandono, si parla di amicizia, di droga. Si racconta una città come Milano senza filtri, senza edulcorazioni.
Il risultato è un romanzo che, appena uscito, ha già riscosso molti pareri positivi. Ci ritroveremo qui per leggere anche la mia recensione.
Nel frattempo, spero di avervi incuriositi abbastanza e vi lascio leggere la sinossi di Feltrinelli FoxCrime:
Era il miglior poliziotto di Milano. Ora, dieci anni dopo, Marco Tanzi è un clochard, un barbone che vive nei parchi e agli angoli delle strade, mimetizzandosi con il degrado di una città che non ha tempo per prestare attenzione agli sconfitti. Capelli lunghi, barba incolta, vestiti sporchi e scarpe infangate, dell’uomo di un tempo rimane ben poco: un gigante di un metro e novantotto che annega nell’alcol i suoi fallimenti. La sua discesa all’inferno lo ha portato ad abbandonare moglie e figlia, a tradire il suo ex collega ed ex migliore amico Luca Betti e a disonorare il distintivo, macchiandosi di reati che gli sono costati sette anni di carcere. Eppure, una sera, succede qualcosa. La figlia che Tanzi non vede da anni è scomparsa, inghiottita dal buio metropolitano. Betti rintraccia il vecchio collega per dargli la notizia, mettendo da parte gli antichi dissapori, e in quell’attimo nell’azzurro glaciale degli occhi di Tanzi passa un lampo, un barlume di umanità che riaffiora dal passato e sfugge al dominio delle ombre. D’un tratto, ha una missione: trovare la figlia. A ogni costo. Inizia così una caccia mortale che, in un crescendo di tensione e violenza, catapulterà lui e Betti nel giro del porno clandestino e della tratta delle bianche. Un mondo parallelo e sconosciuto ai più, nel quale solo chi ha già visto in faccia i propri incubi peggiori riesce a sopravvivere.
(recensione pubblicata su contorni di noir)


Il mondo non mi deve nullaRimini. Adelmo, un ladro stanco e sfortunato, nota una finestra aperta sulla facciata di una ricca palazzina. La tentazione è irresistibile e conduce l'uomo a trovarsi faccia a faccia con Lise, la stravagante padrona di casa, una croupier tedesca che si gode la pensione al mare. Nessuno dei due corrisponde al ruolo che dovrebbero ricoprire e tra violenza e comicità si sviluppa un rapporto strano, bizzarro ma allo stesso tempo complesso e intenso sul piano dei sentimenti. Adelmo cerca di arginare la precarietà che lo sta allontanando da un'esistenza normale, Lise invece è convinta di non avere più crediti da riscuotere dal mondo intero. Sono infinitamente lontani, nulla li accomuna, eppure entrambi cercano il modo di essere compresi e amati dall'altro. Ma l'amore, anche se si regge su ineluttabili fragilità, può essere in grado di soddisfare desideri, salvare esistenze, rimettere a posto le cose. Il cuore di Rimini pulsa tranquillo in attesa dell'arrivo chiassoso dei turisti. Adelmo è felice quando gira in bicicletta nelle vie della sua città cantando a squarciagola. Lise invece sogna che Rimini si stacchi dalla terra e vada alla deriva per l'eternità.


AURELIO PICCA: UN GIORNO DI GIOIA

Una favola realistica, un noir glamour sentimentale è questo ultimo avventuroso, intimo, spettacolare e struggente romanzo di Aurelio Picca, che torna al tema dei rapporti famigliari e in particolare figlio-madre, ma completamente trasformato rispetto a suoi precedenti libri come ‘Sacrocuore’ o ‘Tuttestelle’. C’è il belmondo anni ’50, inizio ’60, tra la Costa azzurra e l’Italia, ci sono le grandi auto, ma c’è anche una tigre, una pistola Beretta 6.35, oro e collane di diamanti, la morfina, una gabbia e un castello, che è in realtà un grande palazzo dalle cento stanze, che la vecchia nonna Normanna Polonsky del giovane Jean, protagonista e io narrante, ha lasciato ai suoi sette figli, tra i quali non scorre buon sangue e che sua madre, Tilda, vuole riscattare a qualsiasi costo dai fratelli, specie il terribile e avido Marcello, per tenerlo tutto per sé. Come chi oggi sfida la sorte rubando in un grande magazzino, così mamma Tilda sfuggiva la noia del suo facile e elegante vivere con gesti rischiosi e eclatanti, che un compagno troppo consenziente gli permette, sperando si calmi e riesca a essere in pace con se stessa. Solo che da quei gesti di destrezza sarà per lei quasi naturale passare ad altri ben più estremi, a truffe e poi rapine a mano armata, per metter insieme i soldi necessari a entrare in possesso del castello di famiglia. Ecco allora un bambino, innamorato della figura seducente della madre, che la segue e ne narra le gesta quasi senza rendersi conto di cosa stia accadendo, almeno sino a quando la madre, che lui pensava solo sua, non si innamora di un altro e poi ancora di un altro, un po’ usando e un po’ usata dagli uomini. Un racconto visionario, venato di una follia un po’ swing, in cui ogni cosa sembra possibile, se c’è una zia, Antonia, che fa la maitresse ed l’unica buona e ricca davvero, se i grandi coinvolgono il bimbo ignaro nei loro giochi erotici, se la mamma si fa di morfina davanti a lui ma brinda ”ai ricchi nell’anima”, se c’è chi in giardino tiene una grande tigre del Bengala. E allora che si corra verso un finale tragico, ma che per Jean è anche un po’ catartico, e alla fine il noir prevalga non stupisce il lettore. ”Mia madre è stata un dono, ma quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta, e questa frusta è predisposta unicamente per l’autoflagellazione”, afferma Jean, facendo di questa madre che rapina e ama, che respinge e attira, che vince e perde, appunto una madre emblematica, nella ambivalenza del rapporto che ha con un figlio. Come emblematico sarà il castello, con i suoi percorsi e incontri (da Teresa al vecchio guardiano De Mei), grazie a cui diventerà adulto, si farà uomo (”e un giorno potrò scrivere la storia che sto scrivendo”) e rinuncerà a girare anche lui con una pistola nella cintura, superata solitudine e rabbie che segnano la sua infanzia, sempre come in bilico tra realtà e fantasia. Ora affascinato, esaltato, geloso e furente, ma comunque ”di marmo, congelato a non capire che la vita è con te, ti grida: Evviva! ed è pronta a distruggerti. Con tua madre dentro”. Questo romanzo, che ha il realismo e la visionarietà di un film, che si snoda leggero e drammatico, inno alla vita che si autodistrugge, pare una favola, con i naturali tocchi di ingenuità dovuti all’età del narratore, e assieme è memoria trasfigurata dal ricordo di tante avventure e seduzioni, segnate tutte da una miriade di colori e profumi particolari, d’epoca, indicati tutti con grande precisione, come quando Jean disegna con gli ombretti rose tendre, pourpoure, bleu azur, beige cachemire, argent metallisé, iris e così via, parlando di fiori come di vestiti e ricordandoci gli odori del vetiver o del profumo Fleur de Rocaille, il Coty dolciastro o Arpege, sino a farne metafora: ”Lui aveva girato il mondo. Lei era un profumo pronto a evaporare dalla boccetta”. Insomma, una lettura leggera e piacevole, non superficiale, che di questi tempi è davvero una bella sorpresa.

NICCOLO AMMANITI: IO NON HO PAURA


Io non ho pauraIn questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.

NICCOLO' AMMANITI: COME DIO COMANDA



Come Dio comandaIn una landa ai margini di tutto vivono un padre e un figlio, Rino e Cristiano Zena, uniti da un amore viscerale che si nutre di sopraffazione e violenza. Tirano avanti un'esistenza orgogliosa insieme a un paio di balordi. Un giorno decidono che è arrivato il momento di dare una svolta alle loro vite. Il piano è semplice: scassinare un bancomat. I protagonisti di questa fiaba apocalittica si ritrovano così in una notte di tempesta, affollata di fantasmi e rimorsi, in cui i fiumi straripano e il fango sembra seppellire ogni speranza. Ma dalle tenebre emerge una ragazzina bionda che sprigiona una forza oscura e finisce per cambiare per sempre i loro destini. "Come Dio comanda" è una sinfonia in cui la più cupa tragedia e lo humour più scatenato si fondono, dando vita a un grande affresco sociale.

ALESSIA GAZZOLA: LE OSSA DELLA PRINCIPESSA


Le ossa della principessaBenvenuti nel grande Santuario delle Umiliazioni. Ossia l'istituto di medicina legale dove Alice Allevi fa di tutto per rovinare la propria carriera di specializzanda. Se è vero che gli amori non corrisposti sono i più strazianti, quello di Alice per la medicina legale li batte tutti. Sembrava quasi che la sua tormentata esistenza in Istituto le avesse concesso una tregua, quanto bastava per provare a mettere ordine nella sua sempre più disastrata vita amorosa, ma ovviamente non era così. Ambra Negri Della Valle, la bellissima, brillante, insopportabile e perfetta Ape Regina, è scomparsa. Difficile immaginare una collega più carogna di lei, sempre pronta a mettere Alice in cattiva luce con i superiori, come se non ci pensasse lei stessa a infilarsi nei guai, con tutti i pasticci che riesce a combinare. Per non parlare della storia di Ambra con Claudio Conforti, medico legale affermato e tanto splendido quanto perfido, il sogno proibito di ogni specializzanda... E forse anche di Alice. Ma per quanto detesti Ambra, Alice non arriverebbe mai ad augurarle la morte. Così, quando dalla procura chiamano lei e Claudio chiedendo di andare a identificare un cadavere appena ritrovato in un campo, Alice teme il peggio. Non appena giunta sulla scena del ritrovamento, però, mille domande le si affollano in mente: a chi appartengono quelle povere ossa? E cosa ci fa una coroncina da principessa accanto al corpo?

VALERIA PARRELLA: TEMPO DI IMPARARE



Tempo di imparareFare il nodo ai lacci delle scarpe, colorare dentro i contorni, lavare bene i denti (anche quelli in fondo), salire scale sempre nuove senza stringere per forza il corrimano. E poi: avere lo sguardo lungo, separare l'ansia dal pericolo vero, vincere, perdere, aspettare, agire, confidarsi, farsi valere, rassegnarsi. A dover imparare tutto ciò, in questo romanzo colmo d'energia e dal potere medicamentoso, sono una donna e il suo bambino. Lei ha l'esperienza, mentre lui per capire mira all'essenziale; lei ha occhi pronti a cogliere ogni spigolo, mentre lui da dietro gli occhiali le insegna a leggere il mondo a due dimensioni.
Davanti a loro si stagliano tutti gli ostacoli possibili, e per fronteggiarli hanno a disposizione molta paura e altrettante armi. La paura è quella di non farcela, e le armi a ben guardare sono le stesse della letteratura: nominare le cose, percorrerle, trasfigurarle, lasciarle andare. Tenendosi per mano - ma chi reggendo chi è difficile dirlo - si muovono tra fisioterapisti e burocrati, insegnanti e compagni di classe, barcollando o danzando, ma sempre stringendo nel pugno una parola difficile che comincia per «H», e che sembra impossibile far germogliare.
Perché se hai tatuato addosso il numero 104 - quello della legge sulla disabilità - e vivi in un mondo «che non ha proprio la forma della promessa», mettere un passo dopo l'altro diventa ogni giorno piú difficile. Ma c'è chi prima di loro e insieme a loro ha solcato lo stesso mare impetuoso, facendosi le stesse domande: «Stiamo tornando indietro o andando avanti? Quando si è in navigazione da tanti anni si perde la rotta».
Tempo di imparare è un libro scritto in prima persona, in cui «io» e «tu» diventano un'unica cosa: «irriducibili l'uno all'altro, eppure intercambiabili». La voce di Valeria Parrella - intima, abissale - dice il momento in cui la relazione tra ogni genitore e ogni figlio si strappa, il binomio si scompone, e ci si guarda da lontano: per intero.

JAMES LEE BURKE: RABBIA A NEW ORLEANS



Rabbia a New OrleansNew Iberia, sulla costa della Louisiana, non è certo New Orleans, e Dave Robicheaux, ex tenente della squadra omicidi, non è l’eroe che vuole o deve salvare a tutti i costi l’America, “quell’America immutabile di cui non si può fare a meno”. Lo è stato in un passato che torna nei suoi peggiori incubi notturni, popolati da fantasmi che si aggirano per le strade della Big Easy o sui sentieri del Vietnam: due luoghi in cui lui e l’America hanno sbagliato direzione.
Adesso vorrebbe starsene tranquillo con la moglie Bootsie e la figlia adottiva Alafair, mandando avanti insieme al fido Batist il negozio sul pontile dove affitta barche e materiale da pesca ai turisti, offrendo loro un’ottima colazione a base di gamberi… Ma è in questo mondo sospeso tra terra e acqua, boschi e paludi, che lo raggiunge un nuovo spettro del passato.
Un sommergibile nazista giace sui fondali del Golfo del Messico, al largo della costa di New Orleans. Non aspetta più al varco le petroliere che salpano da Baton Rouge, come mezzo secolo prima, ma continua a irradiare il suo alone malefico. E Dave Robicheaux, che ha cominciato a cercare il relitto quasi per gioco, si troverà a fare i conti con uno psicopatico neonazista che inizia a introdursi nella sua vita alternando la violenza fisica a quella psicologica, fino a portare il protagonista sull’orlo della follia.
James Lee Burke esplora in questo psicothriller i lati più oscuri del profondo Sud americano, dove ribollono fondamentalismi religiosi e fratellanze ariane, anime perse e innocenti condannati alla violenza. E lo fa scavando impietosamente nelle contraddizioni del suo antieroe, portando alla luce la fascinazione per il male e l’attrazione per la violenza che cova dentro ognuno di noi. 

James Lee Burke è nato a Houston e cresciuto tra il Texas e la Louisiana, paesi di cui nella sua narrativa racconta la storia sanguinaria e la natura impotente. Insegna Letteratura Americana alla Wichita State University, ma ha lavorato anche come operaio in una compagnia petrolifera, come reporter e come impiegato all’ufficio di collocamento della Louisiana. Reso celebre in tutto il mondo dalla serie del detective Dave Robicheaux – interpretato nel cinema da Alec Baldwin (Omicidio a New Orleans, 1996) e da Tommy Lee Jones (In the Electric Mist - L’occhio del ciclone, 2009) –, è stato candidato al Pulitzer ed è tra i pochissimi ad aver vinto due Edgar Award per il miglior romanzo di crime fiction dell’anno. 

A FEBBRAIO L'USCITA DI L'ULTIMA SCOMMESSA


L'ultima scommessa racconta la vera storia dello scandalo che colpì il calcio a undici a partire da giugno 2011, vedendo coinvolti giocatori, dirigenti e società di serie A, serie B, Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti. Per molti dei personaggi coinvolti l’accusa è stata di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva.
Il libro è un diario fuori e dentro il carcere di Cremona. Protagonista un ex direttore sportivo di un club professionistico, arrestato nell'ambito dell'operazione Last Bet.
Il romanzo è stato costruito per essere letto in 90', come un incontro di calcio. Del resto, l'io narrante vive la sua partita onirica all'interno della storia: emblema e sostanza di un pallone italico marcio da anni.
Grazie ai soldi provenienti da scommessopoli, molti sodalizi, oltre ad arricchirsi, provvedevano a saldare gli stipendi di squadra e maestranze, evitando sanzioni disciplinari. Un sistema quasi perfetto, anche se gestito in stile Bar dello Sport. E, come spesso avviene, nei bar si parla troppo… 
Così quelle insegne hanno trovato spazio fuori le mura di un carcere. Il protagonista del libro, dopo gli sputi ricevuti dai tifosi, mentre lo conducevano nella sede sociale del suo ultimo club per continuare la perquisizione, ha scelto di fare a meno del pallone proprio nel giorno del trentacinquesimo anniversario di calcio giocato, dentro e fuori dal rettangolo verde. Una presa di posizione unica: uno dei pochi che non si è tirato indietro, ammettendo colpe e responsabilità proprie, senza buttare fango sulle altre persone coinvolte. 


Gianni Paris, dopo i successi di Mare nero e Nessuno pensi male, insiste sulla via del romanzo sociale: anima e cuore pulsante di una narrativa che lo identifica tra gli autori da tenere d’occhio. Grazie a lui, entreremo nello stadio non per sederci su una poltroncina: attraverso il suo sguardo apriremo la porta dello spogliatoio, prima e nell’intervallo di una partita di calcio, convinti sempre più che siamo stufi di vedere palloni bucati.  

La ricerca di una vita migliore persa nel Mediterraneo:

 “Mare Nero”, un romanzo di immigrazione

di Stefano Santos
TITOLO: MARE NERO. UN ROMANZO DI IMMIGRAZIONE
AUTORE: GIANNI PARIS
EDIZIONE: EDIZIONI DELL’ARCO
Uno dei maggiori motivi che contribuiscono a far nascere un qualsiasi sentimento di rifiuto, di diffidenza, di opposizione –non necessariamente per motivi etnici – è il non sapere. O l’ignoranza, per spiegare meglio il concetto. Si ha timore, si diffida del diverso “perché non si sa”. Cosa non si sa? Di certo, non l’intera Divina Commedia a memoria, o la Costituzione repubblicana. L’ignoranza di cui si sta parlando, infatti, non riguarda un qualche campo dello scibile umano, non ha a che fare con la cultura; anche un professore emerito dell’Università può essere ignorante. Quale concetto di ignoranza si vuole presentare? Quello che emerge analizzando il termine letteralmente: ignorante è colui che ignora.
Gran parte dei conflitti nascono quindi perché si ignora il contesto generale e si tende a analizzare tutto dal proprio punto di vista, secondo il proprio interesse particolare, senza così riuscire ad allargare l’angolo di visuale del mondo. Ma, prendendo spunto dal pensiero marxiano, la storia è il risultato dell’azione delle condizioni sociali sull’uomo e dell’azione dell’uomo sulle condizioni sociali. Sono quindi le condizioni socio-economiche degli individui a generare un determinato contesto storico.
Allora, perché l’”extracomunitario” emigra? Per caso per rubare il lavoro all’italiano e comandare in casa d’altri? Niente di tutto questo, ma per garantire ai propri figli e genitori una vita più dignitosa.
E, nel caso di Nacer, protagonista di “Mare Nero”, il libro oggetto di questa recensione, per avere una speranza di spedire soldi dalla “terra promessa” in modo da mantenere la sorella Aicha, confinata nel letto a causa di una grave malattia. Speranza che l’ha spinto a affidarsi nelle mani di delinquenti che lo mandano allo sbaraglio, approssimativamente diretto verso l’Italia a bordo di una “carretta del mare”. Ma non è solo. Insieme a lui ci sono altri disperati, uomini, donne e bambini che hanno scelto di compiere questa “Viaggio della Speranza”. Una storia personale che viene così a moltiplicarsi in altre centinaia, migliaia, milioni di esperienze.
Alcuni si stabiliranno in Italia; altri vi faranno tappa, per arrivare in altri nazioni; altri andranno a vivere da parenti; altri, padri di famiglia, cercheranno di mettere radici in modo che la famiglia possa raggiungerlo più tardi; molti hanno timore del razzismo che troveranno, dell’equazione invariabile islamico=terrorista; pochi audaci tenteranno la fortuna e chiederanno asilo politico. Tutti vorranno una vita più dignitosa per sé e i loro cari.
Si può dire allora che “Mare Nero” non abbia come unico protagonista Nacer, bensì quei milioni di africani, delle più varie etnie –maghrebini, nordafricani, nigeriani, somali, eritrei, etiopi, sudanesi – ma tutti aventi radici culturali comuni, l’arabo e la religione musulmana (o cristianesimo, per alcuni), adesso non più simbolo di estremismo, piuttosto come “porto comune” dal quale sentirsi più rassicurati, sentirsi parte di una comunità. Comunità che è simbolo di humanitas, che mitiga quella deriva verso la bestialità particolare (che ha paralleli in “Se questo è un uomo” di Primo Levi) che suscitano la fame e gli stenti. Poiché questo viaggio della Speranza non è una scampagnata nei boschi, è una scommessa mortale, una roulette russa di cui tutti sono consapevoli.
La prosa di Gianni Paris è chiara e scorrevole, tentando alla fine un’efficace deriva poetica, e riesce a offire un quadro vivido, senza che si scada nel pietismo e nel melenso sentimentalismo, di quei moventi, di quelle ambizioni e di quelle difficoltà che i migranti incontrano in cerca di una vita migliore.

DOMENICO SEMINERIO PARLA DI NESSUNO PENSI MALE


IL ROMANZIERE SICILIANO DOMENICO SEMINERIO
ELOGIA IL NOSTRO

Nessuno pensi male

Una storia d’ordinaria disumanità in un presente che ha perso tutti i valori e in un futuro prossimo venturo che si preannuncia dominato da un unico ed esclusivo valore: il denaro. In nome e per conto del quale è tutto lecito e tutto è possibile, favorito da uno sviluppo tecnologico e scientifico accelerato, usato in maniera sempre più spregiudicata. Più si procede sulla via dello sviluppo e più le fragili barriere, che in passato proteggevano in qualche modo il vivere civile e impedivano che si attuasse l’antico detto per cui “homo homini lupus”, si indeboliscono e perdono forza e significato. L’uomo, così, diventa merce, cosa, da sfruttare a piacimento e, per via tecnologica, da usare pure come fonte di pezzi di ricambio in cambio di soldi: un occhio, un rene, un cuore, un polmone, un fegato. Merce, in vendita quasi libera, alla luce quasi del sole, con l’infastidita consapevolezza di quanti fanno finta di niente, con un prezzo stabilito in base alle leggi dell’economia, basate sulla regola aurea del costo e del ricavo. Esagerazioni, dirà qualcuno, buone per romanzi o fiction televisive o cinematografiche. Cose legate alla fantasia, dunque. Ma sappiamo tutti che la più fervida fantasia risulta poca cosa confrontata con la realtà. Prendiamo il bel romanzo di Gianni Paris, “Nessuno pensi male”, edito da Dario Flaccovio: una storia che ha per protagonista un piccolo delinquente napoletano, Graziano Spichesi, un untorello da strapazzo, che viene venduto, proprio così, venduto, a una organizzazione cinese operante in Italia, per essere utilizzato come fonte di pezzi di ricambio.
I cinesi in Italia sono ormai tanti, ma nessuno sa quanti siano esattamente. Vivono in Italia ma hanno regole loro, leggi loro, moralità loro che non sempre coincidono con le nostre. Tanto per dire: nessun cinese usufruisce degli ospedali italiani, ma non perché siano tutti sani, ma perché si curano a modo loro e tra loro. Non ci sono, o non risultano, neppure morti tra i cinesi che vivono in Italia, ma non perché siano immortali, ma perché, semplicemente, non sappiamo che fanno coi cadaveri, anche se loro dicono che li rispediscono in Cina, con una cura ben maggiore di quella che, stando alle scarne cronache e ai si dice, riservano ai vivi. Graziano Spichesi, perciò, che ha fatto un torto a un boss della camorra e dovrebbe morire, come da tradizione, viene venduto ai cinesi, che lo accolgono e lo curano e lo rendono pronto allo smontaggio. Ci sono già i compratori, ricchi cinesi che vogliono prolungare la loro vita o eliminare alcuni fastidi di salute con l’innesto di nuovi organi. Nell’attesa viene destinato a far compagnia a un vecchio cinese, Chang Li, il primo capo dell’organizzazione, colui che ha impiantato attività fittizie basate sul più feroce sfruttamento umano che la storia ricordi, da far impallidire la schiavitù del mondo antico. E Graziano, tanto per fare qualcosa, comincia a raccontare al vecchio Chang gli episodi salienti della sua vita, a partire da quando era scugnizzo, con un tono a mezzo tra lo scanzonato e il serio, che si addentra nei meandri di certa nauseabonda realtà meridionale. Il vecchio Chang gradisce il racconto, che si snoda per giorni e giorni, e prova ad impedire che a Graziano siano espiantati gli organi richiesti. Ma il vero capo dell’organizzazione, il giovane Chang Lok, ha premura: tutto è pronto, i medici e la sala operatoria e pure la fornace dove vengono dissolti i resti dei forzati donatori. Il vecchio Chang vuole che Graziano finisca di raccontare la storia: a modo suo s’è affezionato al ragazzo, che assomiglia a un suo antico amico. Il giovane Chang insiste, il vecchio Chang resiste: si arriva alla soluzione finale, che non può essere rivelata in questa sede per non togliere al lettore il piacere di un finale a sorpresa e ben costruito. Una storia di fantasia, certamente, che insinua, però, trasalimenti concreti e fondati dubbi e suscita dei brividi reali nelle nostre coscienze.

SUL SECOLO D'ITALIA UNA PAGINA INTERA DEDICATA A NESSUNO PENSI MALE

RECENSIONE A TUTTA PAGINA SUL SECOLO D'ITALIA


Metti un cinese, un napoletano e un cantastorie...
Dal Secolo d'Italia del 10 aprile 2011
Viaggiavano in cerca di una vita migliore e invece hanno perso l’unica, per quanto disperata, che avevano: decine e decine di uomini, donne e bambini senza nome al largo di Lampedusa. È l’amara cronaca di pochi giorni fa. Eppure quel viaggio in un mare nero di notte e disperazione, Gianni Paris ce l’aveva già raccontato cinque anni fa nel suo romanzo più noto: Mare nero(Edizioni dell’Arco), 50mila copie vendute attraverso il passa parola e la vendita “porta a porta” (ombrellone a ombrellone) effettuata proprio dagli extracomunitari.

«Decisi di pubblicare quel romanzo – ci dice Piersandro Pallavicini, all’epoca editor della casa editrice bolognese e autore che a sua volta ha dedicato al tema dell’immigrazione due libri: African Inferno (Feltrinelli, 2009) e A braccia aperte (Edizioni Ambiente, 2010) – perché nessun altro fino a quel momento aveva tentato con altrettanta efficacia una fiction dal di dentro e in prima persona del viaggio delle “carriole del mare”».
Dopo quattro anni di lavoro serrato, con giornate divise tra il tribunale e la scrittura, è da poco arrivato in libreria il nuovo romanzo di Paris, avvocato-scrittore avezzanese della classe ’73, anch’esso destinato a fare discutere:Nessuno pensi male (Dario Flaccovio Editore, pp. 120, € 13). Sotto la lente d’ingrandimento dell’autore finisce stavolta un’altra emergenza sociale: la criminalità cinese in Italia e i suoi sempre più stretti rapporti con la camorra, un’alleanza sottovalutata che, purtroppo, ha trovato terreno fertile nel nostro paese. Riciclaggio, ricettazione, traffico di organi, tutto made in China. «Non si tratta – ci tiene a precisare l’autore – di un romanzo contro lo straniero ma, semmai, del tentativo di aprire una finestra su una realtà sommersa che raramente viene alla luce del sole».
«Ho avuto la fortuna di difendere un boss della mala cinese – ci racconta Paris – e rinunciando alla parcella ho chiesto e ottenuto di conoscere il loro mondo misterioso, le abitudini, il commercio legale e quello illegale». Del resto avete mai assistito al funerale di un cinese? Vi capita di incontrare un cinese dal vostro medico di famiglia? Perché i negozianti italiani chiudono e loro moltiplicano le attività? Attorno a questi e altri interrogativi sono sorte leggende metropolitane cui Paris ha cercato di dare una risposta senza affidarsi alla scorciatoia del pregiudizio o delle generalizzazioni ma studiando, diremmo quasi indagando. Per poi restituirci il godibile racconto, nella prospettiva noir, della tragicomica “avventura” del protagonista, Graziano Spichesi, napoletano malavitoso più per indolenza e ingenuità che per disonestà: condannato a morte da un boss della camorra per essersi reso indisponibile all’escalation di violenza che ci si aspettava da lui, viene affidato da un “amico” alla famiglia Chang, titolare all’apparenza di un ristorante (ovviamente cinese) e di un’associazione culturale (Grande Cina). Non dovrà far altro che dare un mano come cameriere e soprattutto nascondersi – gli viene spiegato – aspettando che le acque si calmino.
Scoprirà più tardi di essere stato venduto (eliminarlo avrebbe fruttato meno) per scopi tutt’altro che leciti. Più che la sua salvezza, in realtà, interessano i suoi organi. Per una compravendita clandestina, con buona pace delle sue interiora. Quando tutto sembra perduto, a salvarlo – stavolta davvero – è il rapporto di amicizia che si crea tra lui e nonno Chang, padre del più spietato boss. Diversi per cultura d’appartenenza ed esperienze, si apriranno gradualmente l’uno all’altro, raccontandosi e scoprendo inattese affinità, a conferma di come “l’integrazione” sia sempre possibile e salvifica. Come nella pubblicità-tormentone della Telecom, una telefonata ti allunga la vita, così i racconti abilmente dosati di Graziano (e la curiosità crescente di nonno Chang) ne allontaneranno la morte fino a che...
«Come insegna Sherazade – ha scritto Giancarlo De Cataldo, mentore di Paris, nella frase che campeggia sulla copertina – raccontare una storia può salvarti la vita. Perché saper raccontare è un dono e Gianni Paris ce l’ha. E grazie a lui l’operosa e tenace Avezzano entra di prepotenza nel giro d’Italia in noir». Già, il capoluogo della marsica è la location del romanzo, la città dove Spichesi – dopo un breve viaggio da Napoli (chiuso nel bagagliaio dell’auto) – viene portato e dove opera il piccolo impero della famiglia Chang tra settore tessile, ristorazione e altri traffici…
Avezzano è stata scelta dall’autore, oltre che per un atto d’amore per la propria città – dove ogni estate si diletta a portare i big della narrativa, non solo nazionale, per il festival letterario che dirige, giunto ormai alla decina edizione: “Sei giornate in cerca d’autore” – anche perché «come tutti i centri di provincia è, almeno apparentemente, più tranquilla delle grandi città, i controlli sono più sommari e, non essendo un luogo particolarmente affollato da cinesi, proprio per questo possono verosimilmente agire indisturbati». E sempre Avezzano la prossima estate diventerà anche il set cinematografico del film che sarà tratto dal romanzo e la cui uscita è stata programmata per l’inverno del 2012. La regia è stata affidata al livornese Emanuele Barresi e la sceneggiatura sarà scritta dallo stesso Paris. Arrivederci sul grande schermo, pertanto.





IL VIAGGIO DI SERENA CALABRO'
A CASA DI NONNO CHANG

UNA ENTUSIASMANTE RECENSIONE SU MANGIALIBRI

Nessuno pensi male
Il viaggio della giornalista Serena Calabrò
Graziano è napoletano e, come vuole lo stereotipo, ne ha passate tante, catapultato per caso o per sfortuna nell’impero della camorra. La sua storia inizia nel bagagliaio di un’auto, portato chissà dove dall’amico (?) Vincenzo. Sembra che tutto questo sia necessario per la sua salvezza, perché il gioco si è fatto grosso e la legge della sopravvivenza dice che i pesci piccoli muoiono per sfamare i più grossi. È da qui che inizia il suo viaggio all’indietro nel tempo, attraverso i ricordi di una vita bruciata, compromessa da circostanze impreviste e incontrollate. Un insieme di coincidenze, incontri e azioni, hanno portato Graziano Spichesi dove si trova adesso: in un posto chiuso e soffocante, forse metafora della sua condizione, ma che rimane sempre il bagagliaio di una macchina. La meta è Avezzano, una cittadina della regione abruzzese. La promessa? La salvezza. Ma a che prezzo? Graziano sarà venduto come cameriere al servizio di un proprietario cinese, Chang Lok, un uomo dalle mille risorse. Il cinese controlla un impero e gestisce dei traffici loschi con i più grandi capi della criminalità del suo paese: imprenditori, pezzi grossi, gente piena di soldi, tutt’altro che puliti. Graziano dovrà cambiare identità, dovrà andare in giro travestito e dormire su un letto malridotto nella stanza con il nonno. Non sa che la sua vita è sul filo del rasoio, costantemente in attesa della fine. Presto useranno i suoi organi, sani e “freschi”, per salvare i grandi imprenditori cinesi. Chang li venderà a caro prezzo: la vita di quel ragazzo napoletano e buono a nulla sembra valere molto meno. I piani del cinese, però, non hanno fatto i conti con l’imprevisto e con il colpo di scena: il rapporto che si creerà tra Graziano e nonno Chang. Si tratta di un legame tra due uomini molto diversi per cultura d’appartenenza e stile di vita, ma ugualmente attenti alle piccole sfumature, che si ritroveranno a raccontare se stessi. Il racconto, inteso nel senso di narrazione orale, allunga la vita e allontana sempre di più il momento della fine...
L’atmosfera che respiriamo tra le pagine di questo romanzo è molto simile a quella del Gomorradi Roberto Saviano: la malavita cinese, il connubio con Napoli, i traffici illeciti. Cambiano lo stile e il punto di vista, elementi fondamentali per rendere due romanzi che partono dallo stesso sfondo totalmente diversi. La scrittura di Gianni Paris, l’autore, è meno giornalistica, più “piena”, dove l’aggettivo deve essere inteso in opposizione allo stile d’inchiesta, sicuramente più asettico. Qui di incolore e di distaccato non c’è niente e riusciamo ad avvertire gli stati d’animo di Graziano, che si eleva al di sopra della cornice del racconto e lo riempie della sua esperienza personale, dei suoi dubbi, del suo sconforto. Rispetto a Gomorra, come già detto, cambia anche il punto di vista, che non è più quello di un infiltrato, ma paradossalmente diventa quello dei criminali o presunti tali. Diventa quello di nonno Chang, troppo stanco per continuare il “gioco”, diventa quello di Graziano, criminale redento, o forse mai criminale. Nessuno pensi male è una meta-storia. Come delle scatole cinesi, si incastrano l’una dentro la cornice del racconto e una piccola storia, quella di Graziano. Si dice che, quando si è vicini alla morte, la vita vissuta scorra come i fotogrammi di un film, in maniera scomposta, quasi a ricordare ogni singolo istante di quel viaggio ormai giunto alla fine. È questo il tenore dei racconti del protagonista, premonitori della conclusione imminente. I flashback, mai contestualizzati a livello temporale né preannunciati nell’impaginazione, fanno parte di una narrazione-flusso di coscienza in cui gli episodi vissuti non sono altro che lo specchio di ciò che accade nel presente. Narrare spesso significa salvarsi.


ELOGIO ALLA VITA DI UNO SCRITTORE

DI CATERINA FALCONI


Prendi un giovane sognatore che ha intuito la forza delle parole e si fa avvocato per brandirle a difesa dei più deboli. Un tipo da sempre affascinato dalle storie, che riesce così bene nella vita da avere l’impressione di fluttuare in un sogno mentre edifica il proprio futuro. Va a insediarsi in uno studio in cima alla città, che sembra la dimora di un mago. Tappezza le pareti di libri, infila tra le pagine lettere e ricordi. Piega la parola a un uso codificato che produce effetti decisivi nella sorte dei suoi assistiti.
Ma nelle prime ore del mattino, tutti i giorni, quando il sole entra di taglio nelle vetrate circolari dello studio, cessa di essere un avvocato e asseconda il bisogno di scrivere.
Nel frattempo si fa un nome. E pubblica romanzi di successo. Questo giovane è Gianni Paris.
Sono stata a una presentazione del suo ultimo libro, Nessuno pensi male, edito dalla Dario Flaccovio (e da cui presto sarà tratto un film sotto la regia del livornese Emanuele Barresi). E mentre Simone Gambacorta lo intervistava, non potevo non notare quanto il vissuto e le caratteristiche di questo atipico scrittore avezzanese si intrecciassero con i contenuti del libro. La trama, peraltro inquietante, ambientata nel mondo della criminalità cinese allegramente invischiata con la camorra, è probabilmente puntellata su informazioni attinte dai colloqui con certi clienti ai quali Paris propone un patto stravagante e vincente, il patto degno del protagonista di un romanzo: ti difendo gratis se mi racconti la tua storia.
Non è da tutti capire quanto infinitamente più preziosi del denaro siano i piccoli disordinati resoconti di vite sconquassate, che uno scrittore riassembla in una storia avvincente. L’incantesimo dell’affabulazione, il potere salvifico delle parole ben lo aveva compreso Sherazade, che guarda caso è citata da Giancarlo De Cataldo a proposito di Paris. E in questa sfavillante contaminazione, che sembra turbinare attorno allo scrittore e al suo incantevole ultimo romanzo, si delineano le disavventure tragicomiche dello scombiccherato protagonista, Graziano Spichesi, venduto dalla camorra a un boss cinese che lo destina a una fine terribile. Paris è insuperabile, per la sua frequentazione con il crimine (ovviamente dall’altra parte della sbarra) nel rendere le prosaiche inesorabili dinamiche del misfatto, ma sa introdurvi elementi inaspettati, varianti salvifiche. E nel caso del povero Graziano la salvezza, forse, si presenterà nelle vesti del vecchio Chang Li, che come Paris si accosta a Spichesi animato da un’insaziabile curiosità. Io ti difendo se mi racconti la tua storia, sembra essere il messaggio sottaciuto dell’anziano boss, che con patetici goffi teneri stratagemmi senili riesce ad allontanare l’uccisione del suo protetto, di notte in notte, almeno fino a che il poveretto non abbia finito il suo racconto. Una condizione rispettata persino dal terribile Chang Lok, figlio del vecchio, quasi a suggerire l’universale sacralità della parola, in un contesto in cui neppure la vita degli sconfitti sembra valere più di un prezzo irrisorio.



GRAZIANO SPICHESI SEMPRE PIU' PROTAGONISTA

RECENSIONE SU KULT UNDERGROUND


Dario Flaccovio Editore (Palermo, 2010)
pag. 120, euro 13.00

di Nunzio Festa


Su una grande domanda, uno scrittore ha creato un romanzo divertente e ironico. Iniziamo a precisare, lo scrittore è Gianni Paris. Il romanzo, continuiamo, è titolato “Nessuno pensi male”. Paris è l'autore, poi, di “Mare Nero”: sui risvolti drammatici delle migrazioni. Con 50.000 copie vendute. E tante grazie al lavoro degli stessi migranti che in tutta la nazione hanno venduto e vendono brevi manu il libro. Pubblicazione, tra l'altro, che da sempre c'ha interessato. Ma che pure mai ha del tutto convinto, almeno tanto da portare alla lettura. Eppure, ricominciamo, Nessuno pensi male, si deve spiegare, risponde a un semplice e tanto utilizzato interrogativo. Ovvero a un paio. I cinesi, in Italia, muoiono? Avete mai visto il funerale d'un cinese in Italia? Per la verità e l'esattezza, comunque, altri, eppur mai con l'intento di fare un romanzo, s'eran posti i dilemmi di cui sopra. Ora il compito, in pratica, quello ovvero di sperimentare una specie di risposta ai quesiti è affidato al fuggitivo Graziano Spichesi; questo Spichesi, intanto inizialmente è come se fosse aiutato da un presunto amico a sfuggire da una condanna a morte donatagli dalla camorra. Quando lui stesso, lo Spichesi a un ordine della camorra non aveva voluto dar seguito con riscontro positivo. L'avventura tragicomica dello Spichesi, però, inizia quando costui comincia a capire, sempre troppo tardi, che è salvo dalla camorra campana e però in contemporanea il presunto amico l'aveva venduto alla mafia cinese di stanza in Italia. Siamo nella Marsica, centro d'Italia, nel contempo centro di smistamento dei traffici della mafiopoli della famiglia Chang. Grazie al capostipite, almeno, comunque lo Spichesi se pur in ritardo si pone i primi sospetti. Che sulla sua pelle, infine, anzi in virtù dell'utilizzo delle sue interiora, Graziano Spichesi dovrebbe salvare, ovviamente a sua insaputa, i cinesi paganti. Questa breve sintesi, date le caratteristiche dell'opera, permettono già di sapere d'una parte della struttura e impostazione dell'opera. Le pagine del libro, agilissime, invece fanno guardare a rocambolesche situazioni e a piccoli pezzi di questioni scandalose. Paris scrive come se raccontasse con oralità. E il raccontare, quindi, deve consegnare a chi legge quel qualcosa che a copertina ripristinata ci ricorderemo di ridire.















SIMONE GAMBACORTA LA DICE TUTTA

SU NESSUNO PENSI MALE

Recensione sul quotidiano La Città


Un noir che fa di Avezzano, il suo cuore e la sua anima
Ecco cosa succede nel mondo cinese

di Simone Gambacorta

Prima che “Nessuno pensi male” uscisse, me ne hai parlato come un libro che si legge in due ore. In effetti è così: ma quanto hai lavorato per oleare le pagine?
Quattro anni, per arrivare alle 118 pagine del romanzo. Prima quello che avevo di fronte era qualcosa di non meglio specificato. Chi ha preceduto Raffaella Catalano, la mia editor, sa cosa sto dicendo. Non avevo bene in testa cosa c’entrassero i cinesi con Graziano Spichesi. Poi ho avuto la fortuna di conoscere Raffaella, e grazie ai suoi consigli, che mi sono stampato (in caratteri cubitali) per tenerli sulla mia scrivania, ho continuato a usare tanto ‘olio’, fino ad avere a capire che ce l’avevo fatta. Come avrai intuito, devo tanto a Raffaella Catalano, che più di ogni altro mi ha aiutato a trovare la retta via: quella chiamata Dario Flaccovio Editore.
Una precisazione: il libro si legge in due ore, è vero, ma la storia resta dentro. Anche perché è una storia estremamente attuale. Come la riassumeresti?
Non voglio riassumerla. Odio i riassunti. Credo che i libri vadano letti e non raccontati. Se poi ‘Nessuno pensi male’ diventerà un film, come qualcuno mi ha già prospettato, allora la segretezza dell’autore si perderà. Prima di allora, torno a ripetere, odio i riassunti.
Come mai hai scelto questi ingredienti?
Sono affascinato dalla vita dei cinesi. In particolare, dai personaggi negativi. Mi ha sempre incuriosito il lato oscuro delle cose e nel mondo dagli occhi a mandorla ce ne sono tante. Quello che volevo raccontare era quello che io volevo scoprire. I funerali, le malattie, il traffico commerciale: be’, tutte queste situazioni vengono gestite dai cinesi in modo molto differente dal nostro. E il romanzo ne dà una risposta. Diciamo, ne dà una prospettiva noir, che non è differente dalla realtà. La storia che racconto nel romanzo è vera. Ho cambiato il nome ai protagonisti, alle comparse, ma è vera (compreso il luogo).
E come hai fatto per documentarti e per raccontarli?
Nella vita apparente, sono un avvocato. Svogliato, ma pur sempre un avvocato. È accaduto così che io abbia avuto la fortuna di difendere, per uno strano percorso di passaparola a mio favore, un boss cinese (non un delinquente qualunque…). Pazzo di curiositò, ho fatto un patto con lui. Gli ho detto, Se mi racconti il sistema, il vostro sistema, giuro che ti difendo gratis. La risposta che ho avuto è stata parzialmente un sì, perché lui mi ha raccontato solo parte del sistema. Credo però che mi abbia raccontato quasi tutto…
Quindi a questo libro hai lavorato un bel po’…
Sono stati i miei quattro anni più tribolati. Ho deciso di non fare entrare altre storie nella mia vita. Ho dimezzato molte attività parallele (scrivere recensioni, intervistare scrittori, organizzare eventi letterari diversi rispetto al Sei giornate in cerca d’autore), pur di concentrarmi su ‘Nessuno pensi male’.
Hai messo nella cornice di Avezzano, quindi nella provincia, la malavita cinese, il traffico d’organi, la vita e la morte, il male, la paura, la speranza…
Questo romanzo ha un protagonista su tutti, la mia città. Parlo di Avezzano come se fosse una donna, facci caso. Io amo le strade della mia città, amo i miei concittadini, chi investe su questa terra. Do una mano alla squadra di calcio, perché non sopporto di vederla soffrire nelle categorie che non le competono. Tra le dediche, non ho scritto quella più importante, che ora mi prendo il lusso di riportare qui appresso: Ad Avezzano, la mia terra tremolante, che mi dà stabilità e idee, nonostante il freddo e l’umidità.
Anche in “Nessuno pensi male” c’è il tema della fuga, come in “Senza numero civico”. Non sarà un caso…
No, non è un caso. Immagino sempre la fuga, come soluzione di tutto. Forse anche per la mia vita. Se qualcosa dovesse andare storto, se la piega degli eventi cambiasse direzione, venendomi a sbattere contro, ecco quel giorno io sceglierò la fuga.
Parlami del tuo protagonista, Graziano Spichesi.
Graziano vive con me. È il grillo parlante di Pinocchio, perché anch’io mi sento tanto Pinocchio. Rispetto al grillo, sono io però che devo tenerlo a bada. Lui, infatti, è la parte negativa del sig. Gianni Paris (quella che rimane sopita e impressa solo sui libri).
Lui non lo sa, ma è una Sherazade involontario. A lui, il racconto salva davvero la vita.
È vero. Tante volte ho pensato a questa frase. Il racconto, a lui, salva la vita. A forza di stare con Chang Li, di diventare il suo amico inseparabile, Spichesi ottiene inconsapevolmente la restituzione della sua anima e del suo corpo, frutto di una compravendita clandestina.
A pregarlo di raccontare è un uomo anziano, un amico nuovo che dovrebbe stare dalla parte dei “cattivi”, e che invece…
Rivede negli occhi un po’ a mandorla di Graziano Spichesi un suo vecchio amico, fondatore di imperi commerciali e di storia intima, tanto che si confonde fino a pregare per il suo futuro.
La narrazione è strutturata su due piani temporali diversi. Parlami di questa scelta.
Prima di conoscere Raffaella Catalano, i due piani temporali erano narrati da Graziano Spichesi in prima persona, mentre i fatti all’interno del ristorante Grande Cina e i traffici della famiglia Chang venivano raccontati da una terza persona non onniscente, che pur tuttavia guidava le fila della storia. Poi Raffaella mi ha consigliato di tenere indenni i due piani temporali (passato per Spichesi e presente per le avventure avezzanesi), ma di dare tutto il peso delle responsabilità alla terza persona. Un io narrante ‘concreto’ (anche per evitare distrazioni e confusioni nella testa dei lettori), che mi pare abbia la forza di coprire e scoprire con calibrata pazienza le cose di Graziano e della Chang Group, senza cedere troppo alle tentazioni. Oggi, credo che questa scelta sia stata davvero azzeccata. Forse il lettore ha perso la ‘calata’ napotelana di Spichesi, il suo aspetto più comico, ma in compenso si troverà di fronte un romanzo che tiene il passo, e che fa del ritmo la sua sostanza e la sua importanza.
Il futuro di Graziano passa per il suo passato…
È sempre così. Nessuno, neanch’io posso pensare al futuro senza tener conto del mio passato. Esempio (che spero si concretizzi): senza il libro non ci potrebbe essere il film, che dovrebbe portarmi a firmare un contratto di cessione dei diritti e anche di impegno per la realizzazione della sceneggiatura (che confesso, è stata già in parte scritta).
Giancarlo De Cataldo ha speso belle parole su questo tuo libro?
De Cataldo lo considero il mio angelo custode. Per ‘Nessuno pensi male’ ha fatto davvero tanto. Io non credevo, visti i suoi impegni e i suoi continui successi (meritati, aggiungo). Devo dire che Giancarlo è un uomo che il tempo e il successo di ‘Romanzo criminale’ non hanno cambiato. Minuti permettendo, è sempre disponibile. Mi auguro che col suo nuovo romanzo, possa venire a rendere ancora più importante la decima edizione del Sei giornate in cerca d’autore. Al di là del festival, sarò sempre riconoscente nei confronti di De Cataldo. E parlando di riconoscenza, devo spendere due parole nei confronti di Marco Vicentini, l’editore di Meridiano Zero, che ha letto venti pagine del mio romanzo, quando ancora non trovavo la retta via, e i suoi consigli, il suo taglio, sono stati decisivi per arrivare a questo giorno, a questa intervista.





Gianni Paris
Mare Nero
Edizioni dell'Arco

E il mare ricordò improvvisamente
Il nome di tutti gli annegati
Federico Garcia Lorca

di Raffaele Mantegazza


paris-g_mare0Se vivessimo in un mondo civile questo sarebbe un libro di fantascienza, una storia così inverosimile da far pensare che l'autore abbia esagerato con la sua sfiducia nel genere umano. Se vivessimo in un'Europa civile questo libro sarebbe preso come un esercizio di pura fantasia e qualcuno direbbe che mai, nemmeno nei tempi più bui della storia, cose del genere di quelle qui narrate sarebbero potute accadere. Viviamo purtroppo in un mondo incivile e in un'Europa squassata da rigurgiti razzisti, da speculazioni di Borsa che determinano la vita e la morte delle persone, da criminali che sparano su decine di ragazzi norvegesi e da piccoli giornalisti che immediatamente scrivono che sono stati i musulmani (o gli arabi, tanto per loro è tutto uguale). Viviamo in un mondo nel quale tutto quello che qui è narrato non solo è possibile ma è cronaca quotidiana, se è vero che nei due giorni che questo splendido romanzo ha catturato la mia attenzione oltre 100 persone sono state gettate nel Mediterraneo, sempre più Mare Nero perché colorato dalla pelle delle vittime della nuova frontiera degli affari: lo scafismo come organizzazione transnazionale.
Questo libro, pubblicato da una piccola coraggiosissima casa editrice e distribuito dai ragazzi che per le strade cercano di catturare la nostra attenzione vendendo la stampa di strada, è un Naufragio della Medusa del XX secolo con la stessa infamia di allora, con lo stesso disprezzo di allora per le vite umane. Differenti sono solo i protagonisti: oggi sono gli africani, i figli del continente più ricco del mondo e dunque più depauperato e predato (come dice la mia vicina di ombrellone Emilia. "Se l'Africa fosse povera starebbe molto meglio"). Oggi sono i ragazzi e le ragazze della terra d'Africa ad essere consumati dal sale del mare, lo stesso sale che gli schiavisti del commercio triangolare spargevano sulle loro ferite e che oggi si insinua tra le loro labbra quando scivolano in acqua da uno di quelli che con la nostra ipocrisia da ricchi definiamo "barconi della speranza".
Per fortuna oggi come allora c'è chi usa l'arte per denunciare queste atrocità. Se allora era la pittura di un oggi è la penna di un coraggioso avvocato che scrive un libro che non ci lascia in pace, come non dovrebbero lasciarci in pace i nomi sconosciuti delle centinaia di vittime della nostra disumana follia. Se l'Europa fosse una cosa appena decente, la lettura di questo libro sarebbe obbligatoria in tutte le scuole.


 

 

RECENSIONE SULLA RIVISTA SHERLOCK MAGAZINE

Nessuno pensi male

di Pino Cottogni

Cosa accade a un napoletano che per sfuggire alla morte decretata dal suo boss, si rifugia presso un boss della malavita cinese.

Gianni Paris, avvocato, direttore artistico e scrittore con il romanzo Nessuno pensi male (2010) ci permette di dare uno sguardo a quel mondo chiuso e segreto delle comunità cinesi che si sono installate nel nostro paese.

Non si tratta di un romanzo “contro” lo straniero, semplicemente apre una finestra sul modo di agire di questo popolo quando vive al di fuori del suo paese.

Il protagonista è Graziano, un napoletano un poco sfigato e con pochissima voglia di lavorare che dopo aver lavorato per un boss della malavita locale come addetto al trasporto di bare per una ditta di pompe funebri di proprietà del boss, per ordine di questi “deve” fare dei lavoretti per altre sue losche attività, infatti altri affiliati si recano presso commercianti e li malmenano perchè non vogliono pagare tangenti e Graziano deve fare il palo. Quando poi gli viene chiesto altri lavori lui si rifiuta, perde il lavoro e si lascia andare vivendo di piccoli espedienti, prestiti richiesti a finanziarie e mai restituiti ecc. ecc.

Così, una notte un suo amico, Vicenzo gli dice che ha ricevuto l’ordine dal boss di ucciderlo, ma essendo di buon cuore lo carica sulla sua macchina e lo porta, chiuso nel bagagliaio, in un paese lontano affidandolo a un boss cinese che deve un favore. Qui Graziano rimarrà nascosto e racconta la sua vita al padre cinese del boss.

Più tardi scoprirà che l’amico di buon cuore lo ha “venduto” al boss cinese, resta da scoprire quale è lo scopo di questo strano acquisto.


 

IN RICORDO DI UN POZZO ARTESIANO

MI RICORDO DI ALFREDINO RAMPI

di Gianni Paris

Mi ricordo che un pomeriggio non andai a giocare a pallone, anche se faceva caldo.
Mi ricordo che quel pomeriggio rimasi incollato a guardare la tivù.
Mi ricordo che quel pomeriggio non guardai Heidi, Orozowei, Mazinga Zeta, Candy Candy.
Mi ricordo che rimasi incollato al televisore, per vedere se lo estraevano.
Mi ricordo di un buco in un pozzo artesiano.
Mi ricordo che lui si chiamava Alfredino, Alfredino Rampi.
Mi ricordo che soffrivo per lui.
Mi ricordo che dicevo a mia madre: «Ora esce, aspetta mamma, non andare a lavorare. Ora lo tirano fuori».
Mi ricordo che mia madre tornò dal lavoro e Alfredino non era tornato a giocare col pallone.
Mi ricordo di un piccolo uomo di Avezzano che fu chiamato per uno degli ultimi tentativi.
Mi ricordo che fu preso in elicottero e portato in quel campo incolto, dove c’era il buco col pozzo.
Mi ricordo che il piccolo uomo di Avezzano fu fatto scendere a testa ingiù, legato dai vigili del fuoco.
Mi ricordo che il piccolo uomo uscì dal pozzo senza Alfredino.
Mi ricordo che andai a dormire deluso e preoccupato, per la prima volta.
Mi ricordo che Alfredino non tornò più a giocare.






LA TAZZA DI UN WATER E' PIENA DI PERICOLI...



Argentina, che brutto posto…
Anzi, no
Massimo_Carlotto
di Gianni Paris

Si può scrivere una pagina di diario se nel bagno del tuo studio c’è qualcuno che si sta facendo di eroina? Si riesce a parlare della dittatura in Argentina ai tempi della desapariciòn se in quel bagno c’è un giovane che sta muorendo giorno dopo giorno? No, credo proprio di no. E allora questa è la storia dei miei ultimi quattro giorni.
Mercoledì. Viene allo studio un imbianchino, grande e grosso.
copertina-irregolari-Ho deciso di passare ai colori forti. Obiettivo: lavorare e scrivere meglio. Ogni stanza con una tinta che più etnica non si può. Quattro stanze imprevedibili come le stagioni del mio cuore. L’imbianchino, che io conosco dalle fasce, è un vicino di casa. Di lui so tutto. E tra il “tutto” so pure che è entrato nel tunnel. Un giorno ha assaporato la polvere bianca e dalla polvere bianca è passato all’accendino che scalda qualcosa e che passa in un ago. Ecco, ho chiamato l’imbianchino grande e grosso per parlargli, per cercare di aiutarlo. Alla fine del mercoledì, lui carteggia tutte le pareti di una stanza e mi sembra lucido. Penso che stia uscendo dal circolo vizioso, anche se il suo cellulare riceve centoundici squilli di gruppo.
MASSIMO CARLOTTO 1Giovedì. Alle dieci, l’imbianchino grande e grosso torna a carteggiare le pareti, sempre della stanza che sarà viola. Gli porto la colazione (latte macchiato, più tre brioche), e lui sembra contento di lavorare nella stanza che sarà viola. Nel pomeriggio di giovedì, sento però un accendino urlare troppe volte. L’urlo proviene dal bagno del mio studio, la povera stanza bianca. Quando l’imbianchino grande e grosso esce dalla stanza bianca è sudato come se avesse appena poggiato a terra cento chili di qualcosa. Sempre nel pomeriggio, l’imbianchino passa a stuccare e ad attaccare, nella stanza viola, le greche in polistirolo. È bravo, nel suo lavoro. Prima delle diciannove, quando decide che è il momento di tornarsene nel suo mondo, l’imbianchino grande e grosso riceve duecentotre squilli di gruppo.
CARLOTTO1Venerdì. Alle undici, l’imbianchino grande e grosso torna nella stanza viola. Sembra fidanzato col colore che è in quel barattolo, seppure non abbia nemmeno provato a dargli un bacio come si deve. In questo terzo giorno, finalmente, riesce a sporcarsi le guance di viola. La stanza prende il giusto tono, ma lui, l’imbianchino grande e grosso, appare spento. Vorrei chiedergli qualcosa del suo tunnel. Vorrei sapere quanta luce c’è e come si respira, ma non mi sento pronto. Non è facile parlare del sangue altrui. Alla fine del venerdì, le pareti della stanza destinata ad essere viola non sono all’altezza della situazione. Su quattro pareti, tre sono viola macchiato, per niente uniformi, e una ancora bianca. L’imbianchino grande e grosso riceve duecentocinquanta squilli di gruppo. Anzi, no, duecentocinquantuno.
CARLOTTOSabato. Alle undici e poco più, l’imbianchino grande e grosso entra nel mio studio. O meglio, alle undici e poco più l’imbianchino entra nel bagno dello studio. Ci sta per venti minuti. Io provo a chiamarlo. Dopo la seconda richiesta, lui mi risponde. Scarica lo sciacquone del water ed esce. Di fronte mi trovo un’altra persona. Occhi spenti e rossi, e spalle piegate in avanti. Lui dice di non sentirsi bene. Mi parla di problemi intestinali, ma il suo intestino funziona benissimo. Mi racconta che i suoi genitori lo hanno tenuto per tutta la notte fuori dalla porta. Non sopportano il tunnel. Mi chiede anche di fare colazione, l’imbianchino grande e grosso. Dice, Vorrei bere del latte e caffè. Più caffè, s’è possibile. Io esco e dopo un po’ gli porto ciò che mi ha chiesto, aggiungendo anche due bignè alla crema. Lui si siede e, senza mie domande, maggiucchiando, mi parla del suo tunnel. La sua voce è perdente, calante, e io capisco che la stanza viola neanche oggi si sentirà soddisfatta. Io gli dico di andare a stendersi, lui fa cenno di sì col capo, e mentre mi volta le spalle torna lo squillo di gruppo, immancabile.
Ah, stasera incontro Vinicio Capossela e non credo gli parlerò dell’imbianchino grande e grosso.

 

 

 

SESSANTAMILA COPIE PER MARE NERO

NERO COME NEGRO

di Greta Cipriani

Sono le tre del pomeriggio. Apro un quotidiano nazionale. Titti e Hadengai, due dei superstiti eritrei sbarcati qualche settimana fa a Lampedusa, ora sono sotto osservazione presso l'ospedale Cervello di Palermo. Sono sbarcati assieme ad altri tre sopravvissuti, dopo un viaggio estenuante di ventuno giorni, in un gommone sepolcrale.MareNero-fronte
Sbarro gli occhi. Mi ricordo del libro Mare nero.
Leggo il racconto dei superstiti. Ho dei flashback continui. Telefono subito a Gianni: "Sembra sia apparsa una notizia presa apposta dal tuo libro!". Lui non sembra avere il mio stupore. E' normale. Chissà quante storie ha impresse nella memoria. Riattacco il ricevitore e penso a Mare nero.
Nero come "negro".
Volendo trovare un'area geografica che risponda benissimo alle esigenze di condivisione culturale del termine appena citato, potrei dire genericamente Africa.
Nero dunque, come appartenente ai popoli, alle etnìe di pelle scura. Il romanzo di Gianni Paris ha come soggetti uomini, donne, bambini di pelle scura, marocchini, algerini, somali, eritrei, etiopi, "una sparuta minoranza di tunisini ed egiziani", i quali affrontano un viaggio interminabile verso la loro meta dei sogni preferita: l'Italia. Sembra che il luogo di salpaggio privilegiato per chi voglia affrontare la traversata sia la Libia. In questo romanzo Gianni non scava tanto nelle culture dei popoli presi singolarmente, quanto invece mette in risalto la comunanza di tutte le culture, riunite di fronte ad un mare che annulla le differenze. Anche la lingua scelta per comunicare è l'arabo, per tutti indistintamente. Non avremo pagine di natura squisitamente antropologica, bensì pagine che prendono spunto da racconti tradizionali, nelle quali ogni riferimento antropologico è funzionale a ciò che si sta narrando. E' un'opera del presente, più che del passato e del futuro. Di fronte al mare, al pericolo di un mare che può travolgere intere vite, la propria storia, i gesti personali non esistono più. Il presente è il viaggio, giorno dopo giorno, senza più le spalle di un passato e nemmeno il ventre di un futuro sicuro.
gianni parisNero allora come catastrofe, sofferenza. Il colore nero ha sempre rappresentato in tutte le culture antiche, il simbolo del buio e della morte. Pensiamo ai romanzi di Grazia Deledda ad esempio, dove le tinte scure, buie, cupe e tenebrose segnalano l'approssimarsi di sciagure e catastrofi. Il romanzo di Gianni si svolge soprattutto di notte. Pochi sono i momenti in cui il sole viene a rigenerare la pelle, e quando il sole arriva è un sole che annulla le forze.
Nero come domani senza futuro, luce spezzata. Il narratore qui non risolve le incertezze, non ci propone un lieto fine. Non vuole affatto parlare dell'accoglienza, degli espedienti giornalieri di un popolo che lotta per la sopravvivenza. Gianni pone l'accento più sulla tragedia, che si consuma tutta in poche settimane, dispensandosi dal fare riferimenti sull'attuale situazione politica italiana. Allora il nero è il punto interrogativo di una non pronunciata accoglienza.
In questo abisso poi, l'unica evidenza è quella del dolore che non conosce confini, nel quale tutti possono ritrovarsi. Allora il mare "negro" diventa il mare "nostrum", il mare di tutti noi lettori, che ci immedesimiamo nei personaggi e ne condividiamo la sofferenza. Ciò che mi viene in mente quando leggo il romanzo di Gianni è un'alta dose di umanità. Il viaggio non è solo viaggio di sopravvivenza fisica, è anche viaggio di sopravvivenza mentale, etica, spirituale. E' un viaggio in cui ognuno viene messo di fronte alle proprie debolezze. Tutti possono scoprirsi carnefici oppure vittime della rinuncia. Lo stesso tono è confidenziale. Il romanzo infatti è in prima persona e tutto ciò che viene descritto è una testimonianza diretta di ciò che accade, senza mediazioni. Chi lo legge si sente immediatamente immerso nel fondo della propria vita e della propria coscienza. Qui il deterioramento dell'anima è conseguenza del deterioramento corporale. La preghiera diventa allora una forma collettiva di sopravvivenza e i corpi che muoiono, gettati in mare sembrano vittime sacrificali, uccise da una cattiva sorte.
Basti pensare che "nero" significa pure "fecondità". Nell'antico Egitto e nell'Africa del nord le dee considerate simbolo di fertilità erano coperte di vesti scure. Il nero dunque era il colore della terra fertile, delle nubi gonfie di pioggia e richiamava alla mente anche le profondità dell'abisso, associate spesso a Nettuno, Dio del mare, a cui venivano sacrificati tori neri. C'è un legame dunque fra sacralità, sacrificio, nascita e morte.
Gianni Paris sa abilmente suggerire nella mente del lettore tutti questi temi, senza troppo scavarne le radici. La sua scrittura è feconda di immagini sensoriali e al tempo stesso essenziale. Lascia intendere attraverso l'evidenza. Il suo modo di presentare i personaggi, gli eventi, lo discosta da quel tipo di scrittura associata alla "letteratura della migrazione". Il suo romanzo è a sé, un libro che riunisce in un'esperienza circoscritta un dolore che non ha nome specifico, e che si dimentica persino del luogo e dell'anno, per rendersi condivisibile a tutti.



LA CONDIZIONE DEL PRESENTE IN MARE NERO

BUCANO IL MARE

Di Caterina Falconi


Partono con una busta di plastica bianca: dentro un po’ di pane, delle mele, una bottiglia d’acqua. Alcuni hanno una maglia annodata alla vita. Pochissimi una coperta. I disperati di Paris sono descritti così, nelle prime pagine di un romanzo che cambia per sempre lo sguardo del lettore: una torma di abbacinati dalla speranza, giovani e bambini, stipati in una baracca buia in attesa di partire. Fuori, i trafficanti, i traghettatori, con dei fucili in mano.
Ricordo i miei due anni in Benin, i villageois erano animati dalla cognizione del presente. Ogni sforzo, immane, nel condurre la vita un passo avanti, si concentrava sul pasto del giorno, sul bacile d’acqua attinto al fiume. Del domani non v’era certezza, e non in senso poetico. Domani, un attacco di malaria, il morso di un serpente, ti potevano ammazzare. Questi novanta martiri non fanno eccezione, ripongono la loro speranza di sopravvivere in una patetica busta di plastica con provviste per qualche giorno. Eppure sono mossi da una titanica e quasi epica speranza di cambiare la propria esistenza, e Paris li descrive come l’Africa che sogna e che si muove. La voce narrante è quella di Nacer, un trentenne marocchino contaminato dalla lunga consuetudine alla lettura, taciturno e coraggioso, in cui a guardare bene si intravedono delle caratteristiche dello scrittore, come l’entusiasmo e un tratto di intelligente malinconia.
La scena è pronta, sapientemente tratteggiata da un Paris che fa un uso disinvolto e personalissimo delle parole, combinandole in metafore indelebili, come bucare il mare…
Inutile dire che la barca, la carretta del mare, è poco più che uno scafo. Dei trafficanti… verrebbe da scrivere d’anime, nessuno si presterà a condurre l’imbarcazione. Il carburante, nella migliore delle ipotesi, è appena sufficiente a raggiungere Lampedusa, ammesso che le condizioni climatiche siano buone, di non smarrire la rotta. Le premesse per una tragedia ci sono tutte, ma i novanta si imbarcano, animati da un fanciullesco entusiasmo, da una foga di cambiamento illusoria e contagiosa. Solo Nacer si interroga, ma soggiace alla smania degli altri.
Qualche pagina dopo li ritroviamo alla deriva su un Mediterraneo sempre più freddo e ostile. Senza carburante, né riparo, sfiniti dalla pioggia battente, dal vento che scortica. Le esigue provviste che spariscono dalle buste. L’acqua che scarseggia. Finisce. I corpi che deperiscono, si afflosciano. La forza che li abbandona. Il silenzio che sigilla le bocche screpolate.
E iniziano a morire. Prima i bambini e le donne. E poi gli altri.
Il lettore è confuso, con i morenti. Entra nella testa di Nacer, ne condivide le farneticanti riflessioni. Scivola con lui nel delirio. Si incista nella speranza che un miracolo può ancora accadere, mentre con grande dignità gli imbarcati continuano a spirare. Nella compagnia mai una sollevazione, nessuna fazione, nessun atto ostile verso il prossimo. Il destino è condiviso con una straziante mansuetudine, coralmente. Nacer si rimprovera per non aver ceduto gli ultimi sorsi della sua acqua al bambino che gli muore accanto, e che comunque non avrebbe salvato. Intanto la follia serpeggia. Si assiste a un fulmineo suicidio. La scrittura tocca vertici di commozione assoluta. Si fa spiazzante, onirica, lambisce un’incontestabile spiritualità. Mescola lo sbigottimento del lettore, la sua compassione, al tormento di Nacer, che afflosciato come i suoi compagni nello scafo, incapace di muoversi, con la schiena piagata, entra ed esce dal delirio, mentre i pensieri si frantumano. E se le riflessioni della veglia deflagrano, corposi e vividi sono i sogni e le allucinazioni. Viene da chiedersi se gli spiriti che parlano a Nacer non siano reali presenze che irrompono nella linea di confine che precede la morte.
Corpi che sempre più numerosi bucano il mare.
Nacer che con sforzo solleva la maglietta e inorridito vede il proprio cuore pulsare nel petto scheletrico. Come dimenticare queste scene? La donna che spira accanto al marito girandosi dall’altra parte mossa dal pudore. L’incredulità dei bambini che si vedono rifiutare l’acqua dal proprio padre.
La pietà di Paris intreccia e strattona le ultime vicende fino alla comparsa di un sasso che buca l’orizzonte.
Buchi nell’acqua per affondare la speranza. E uno tra acqua e cielo per restituirla.
Ho letto fino all’ultimo sussulto del protagonista, sapendo che avrei guardato in un modo diverso tutti i ragazzi di colore che si aggirano carichi di merce. E mi sono detta che una storia così anche i nostri ragazzi dovrebbero leggerla.

RECENSIONE SU THRILLER CAFE'

Nessuno pensi male è il titolo del thriller edito da Dario Flaccovio Editore che ci regala Gianni Paris, e che diventerà un film entro il 2012 sotto la regia del livornese Emanuele Barresi (sua la firma anche nella commedia «Non c’è più niente da fare», uscita nelle sale italiane nel 2009). Il libro, in modo ironico, ci presenta un’Italia corrotta che fa fatica a tirare giornata e una presenza straniera, quella cinese, che in poco si è consolidata nel territorio dettandone a volte anche le regole.g1Questi gli elementi principali della vicenda. Spichesi, il protagonista, si troverà alle prese con la camorra che lo vuole morto, costringendolo a lasciare Napoli per salvarsi la vita. Ma, un amico o presunto tale, gli promette la salvezza “parcheggiandolo” in un ristorante cinese. Così lo farà approdare dalla padella alla brace. Sì, perché Graziano Spichesi sarà affidato alla famiglia Chang che ha un ristorante che copre attività ben più losche che servire involtini primavera. Graziano penserà di essere in salvo e di poter sfuggire ai propri scagnozzi nascondendosi in un ambiente estraneo al suo, ma le differenze politiche e culturali delle due fazioni non sono poi così diverse. Graziano scoprirà, infatti, che la famiglia Chang non gli richiede prestazioni da cameriere, ma ha ben altre aspirazioni sul suo conto… Sarà nonno Chang a offrirgli un’alternativa. Incontriamo l’autore di questo thriller che ci lascerà increduli di fronte alle realtà della mala cinese.

D: Una storia tra due realtà considerate spesso fraudolente, napoletani e cinesi…
R: Per loro esiste una linea indistinguibile tra realtà e finzione come per uno scrittore. Partiamo dalla realizzazione delle brutte copie o esemplari dei capi delle grandi firme della moda. Sia i napoletani che i cinesi hanno l’abilità di mettere su un manichino l’abito da riprodurre, e il gioco è presto che fatto. Per entrambe poi, eliminare un uomo scomodo è meglio che graziarlo; per i cinesi vale la pena stringere alleanze con i napoletani, e viceversa. Entrambe le organizzazioni malavitose hanno la capacità di riuscire a finanziare i ‘pensionati’ dei vari clan, mantenendo intatti i valori della fedeltà e della gerarchia. Per entrambe, il silenzio e i linguaggi in codice rappresentano i requisiti fondamentali per non farsi beccare dalle forze dell’ordine.
D: Nel romanzo si parla di lavoro nero, traffico di organi, illeciti finanziari, quale parte è più romanzata?
R: Nessuna. O meglio, il romanzo prende spunto dal lavoro nero che è routine nel mondo cinese-napoletano. In Nessuno pensi male si parla di traffico di organi e non è invenzione neanche questo argomento. La ricettazione o il riciclaggio o le truffe sono quanto mai gli elementi principali che consentono alla mafia cinese e alla camorra di alimentarsi e allargare la loro porzione di potere.
D: È più facile parlare di certi aspetti a delinquere in chiave noir piuttosto che in un saggio?
R: Io sono scrittore di romanzi, i saggi non mi piacciono neanche come lettore. Se poi mi si chiede se la storia da me raccontata possa essere trasformata e interpretata in chiave saggistica, sicuramente basterebbe documentarsi e ciò sarebbe possibile, ma si rischierebbe di fare come in Gomorra, con nomi e cognomi e uno scrittore in fuga dalle anime cattive…
D: Nel romanzo sembri far intendere che la camorra sia meno pericolosa della mafia cinese, è così?
R: Be’, la triade è qualcosa di più complesso e mondiale, rispetto alla camorra. I cinesi sono dentro ogni tessuto, grande e piccolo, ed è ora che qualcuno si chieda e qualcun altro risponda sul perché i negozi di abbigliamento cinesi sono sempre vuoti eppure non chiudono mai…
D: Quanto c’è di reale in questo libro?
R: La storia mi è stata raccontata da un malavitoso cinese, conosciuto nelle mie vesti di avvocato. Ho spiegato al cliente che ero tanto curioso di conoscere il sistema triade, così con lui ho fatto un patto: Raccontami come funziona e io ti difendo gratis. È andata proprio in questo modo. L’unico aspetto sconosciuto per il cliente era il mio ruolo di scrittore. Non sa che tutte le ore di chiacchiere sono diventate un romanzo e presto anche un film per il cinema.

Nessuno pensi male
D: Può esistere il rispetto tra due persone appartenenti a due clan differenti?
R: Se fossi un camorrista, avrei rispetto di un altro capo clan cinese o napoletano. Siccome però non lo sono, rispondo che tra camorristi è meglio la pistola che il rispetto. I morti ammazzati che hanno segnato un’epoca ne sono la risposta alla vostra domanda. Oggi si uccide meno, ma da lì al rispetto ci passa la polvere da sparo…
D: Quale realtà ti spaventa di più?
R: Per ora, nessuna. Scrivendo il romanzo ho avuto il serio timore di ricevere minacce e condanne di morte, ma per fortuna, nonostante il successo del romanzo non è accaduto nulla di tutto questo. E ne sono felice. O meglio, mi sento uno scampato dal pericolo, anche se è ancora presto per cantar vittoria.
D: Ci auguriamo tu possa continuare a fare sogni tranquilli… hai fatto comprendere attraverso un racconto a volte umoristico di come certe dinamiche trovino spazio nel nostro paese.
R: La malavita fa parte di noi. L’esempio più palese è il controllo che la camorra ha di alcune società che sono capofila nel settore agro-alimentare italiano. Ho un cliente, come avvocato, che vende frutta e verdura nella Marsica a buon livello. Si rifornisce in un enorme mercato all’ingrosso e mi racconta di certe situazioni che lo costringono ad acquistare da tizio anziché da caio, oppure mi racconta che i prezzi sono tutti limati per non creare problematiche tra venditori affiliati.
D: Come si sposa la tua professione di avvocato con quella di scrittore?
R: C’è una grande differenza. Fare l’avvocato mi rende insicuro tutti i giorni. Tanti clienti non mi piacciono e con pochi ho stretto anche la giusta confidenza. Vestire i panni dello scrittore, invece, mi rende l’uomo più forte sulla faccia della terra. Percepisco la forza delle parole…
D: Alleggeriamo i toni: hai mai raccontato una barzelletta alla quale nessuno ha riso?
R: Non mi piacciono le barzellette dette da Gianni Paris. E in realtà non ho mai trovato lo spazio per raccontarle agli amici… Anzi, sono loro che mi fanno ridere con abilità e spirito tra cinesi, tedeschi e italiani che ne fanno una più di Berlusconi. Io sono un noirista, non un barzellettiere… (ride).
D: Ti piace mangiare cinese?
R: Sì, preferisco il maiale alla wok (riso, maiale, zucchine, salsa piccante). Da quando è uscito “Nessuno pensi male”, per una precisa scelta, lo ordinano ma lo degusto in famiglia.
D: Scriverai ancora di truffe allo Stato, di spaccio e di malavita o ti dedicherai ad un romanzo più “leggero”?
R: In estate inizierò a scrivere il secondo appuntamento con Graziano Spichesi e si ripartirà da Pescara. Dunque la risposta è questa: lascio la leggerezza agli altri, perché sento ancora la necessità di raccontare storie di malavita, anche se Graziano assumerà un altro ruolo. Confido nella mia editor, Raffaella Catalano, per dare il giusto ritmo alla storia e alle frasi.
D: Un saluto ai nostri lettori di Thriller Cafè.
R: Continuate a leggere e diffondere la voce di Thriller Café. Se qualcuno dovesse cambiar idea, giuro che vi faccio conoscere il boss cinese, quello vero…
Dopo questo “invito” nessuno si esimerà nel seguire il Thriller Cafè di Giuseppe Pastore… hai visto mai… grazie Gianni, ci rincontreremo per il tuo prossimo romanzo!